I DUE MARESCIALLI - di Angelo De Angelis

I DUE  MARESCIALLI.

 

 


- di Angelo De Angelis -

"Più invecchio e più le persone che ho conosciuto non ci sono più. E io non riesco a fare pace con nessuna di queste assenze. Allora che faccio? Scrivo.
Prendo un episodio del passato e mi metto a scrivere. Dentro al passato quelli che tu ami, stanno tutti là, non ci manca nessuno. E allora scrivendo costringo queste persone che si sono andate a cacciare in quell’aldilà senza il mio permesso, a essere di nuovo con me. Fino a che scrivo, loro stanno con me".
(Erri De Luca)
Una vecchia agendina dalla copertina logorata dal tempo e dall’uso: all’interno nomi e numeri di telefono, alcuni scritti in bella grafia, altri con la mano tremante di chi ha visto scorrere davanti ai suoi occhi tante primavere. E’ sera, le mani aprono a caso una pagina e l’indice, ancora abituato a far girare una corona di plastica trasparente forata in corrispondenza dei numeri da zero a nove, tocca uno per volta i tasti del cellulare corrispondenti al numero sorteggiato.
Squilla il telefono fisso che ancora resiste in casa. Rispondo.  Mi saluta una voce ferma e cordiale: ciao, sono zio Augusto!
Zio Augusto, classe 1916, carattere allegro, solare, compagnone, divertente; è sempre il leader del gruppo nel quale si inserisce. E’ quello che movimenta le partite a briscola che nelle calde serate d’estate animano il borgo di Colle di Roio dove, da quando pensionato, passa gran parte del suo tempo e dove è conosciuto da tutti come IL MARESCIALLO.
E’ l’idolo dei numerosi nipoti, figli dei fratelli, sorelle e cugini. La sua allegria è contagiosa ed è sempre una festa quando, una o due volte l’anno,  torna nel suo paesello di origine, Santa Maria.
Qualche settimana prima ha compiuto novantotto anni ed ha voluto intorno a sé tante persone a lui care. Un invito, il suo, che mi ha messo in ansia: cosa regalare ad un vecchio zio per il suo novantottesimo compleanno? Ci penso un po’, poi vado in libreria e compro un libro del quale ho da poco letto una bella recensione che parla di stile giornalistico scorrevole. È di Aldo Cazzullo: La Guerra dei Nostri Nonni.
Il piccolo, imbarazzante regalo al vecchio zio di novantotto anno è stato un successo. Zio Checchino, suo padre, non gli aveva mai parlato delle avventure e disavventure di guerra di inizio secolo svoltesi in Libia, lungo il Tagliamento, il Piave, a Caporetto ed a Vittorio Veneto. Leggere quelle pagine, scritte con lo stile semplice ed immediato di un reduce che racconta ai suoi nipoti, è stato per lui come ascoltare le parole di suo padre. I mesi successivi, con cadenza di tre o quattro giorni, il numero sulla sgualcita rubrica non fu più scelto a caso e zio Augusto mi raccontò, man mano che procedeva nella lettura, gli episodi narrati nel libro regalato.
Una di quelle sere mi chiese del cugino Elia, fratello di mio padre. L’ho chiamato un mese fa, ma io parlavo e lui non capiva.
Il mitico zio Elia, classe 1918, era di due anni più giovane, il primo motorizzato della famiglia grazie ad una ancor viva Lambretta 125 D, il più guascone del paese, il più piacione, lo scapolo d’oro, come lo appellava zio Augusto quando ne parlava con i figli.
Era il mio mito vivente ed io pendevo dalle sue labbra ogni volta che veniva a trovarmi. Mi raccontava la sua infanzia, la sua guerra in Grecia e Jugoslavia. Mi raccontava delle sue fidanzate e delle sue avventure quando, finanziere a Roma, ingaggiava battaglie personali contro il contrabbando, ma non contro i contrabbandieri, che lo avevano bonariamente soprannominato baffone, per via dei baffi mai tagliati da quando, ventenne, aveva iniziato a coltivare sul mento anche un folto pizzetto color rosso rame.
Una volta fermò due venditori abusivi di brandy fatto in casa. Uno utilizzava la tintura di iodio per dare il giusto colore ambrato al suo prodotto, l’altro utilizzava il caramello fatto artigianalmente scaldando lo zucchero fino a farlo fondere. Furono arrestati entrambi, ma il secondo, con una punta di orgoglio, disse fiero a zio Elia: il mio brandy è buono e non fa male, non è tossico come quello della concorrenza, che è fatto con la tintura di iodio!
Zio Elia è il secondo MARESCIALLO, arrivato alla rispettabile età di novantanove anni in superbe condizioni fisiche. Per una strana legge del contrappasso però la sua voce, capace di raccontare meravigliose, avvincenti storie, non riuscì più, in vecchiaia, a seguire i suoi pensieri ed i racconti che ascoltai da lui negli ultimi anni della sua vita erano fatti di espressioni del viso, di sguardi ora divertiti, ora tristi, a volte impauriti, più spesso allegri, senza che la sua voce trovasse le parole per esprimere ricordi ed emozioni.
I due marescialli erano cresciuti insieme nel piccolo borgo di Santa Maria. All’epoca il paese era vivo: cinque o sei famiglie ed una masnada di oltre trenta ragazzini, tutti fratelli, cugini, lontani parenti o semplicemente compari. Ne combinavano di tutti i colori. Quando avevo diciotto anni con i miei amici facevamo a gara per entrare nelle piccole cinquecento o seicento con record che avevano dell’impossibile. Loro, nei primi anni del secolo scorso, conquistarono il guiness dei primati per numero di bambini trasportati su un somaro. Quella volta erano in sette e zio Elia, il più piccolo, era ultimo, vicinissimo alla coda. Al primo accenno di trotto del somaro, precipitò faccia a terra rompendosi il naso, che rimase per la vita intera orgogliosamente puntato verso l’angolo sinistro della bocca.
La seconda guerra mondiale disperse la migliore gioventù di Santa Maria sui tanti fronti. Tornarono tutti, malconci, ma tornarono. Tutti meno che zio Paolo, tenente carrista, sparito nel nulla durante la battaglia di El Alamein.
Il mondo era cambiato.
Roma nel dopoguerra: la mia generazione l’ha conosciuta guardando i film di registi come Rossellini, De Sica, Monicelli, Fellini. Attori indimenticabili come Fabrizi, Magnani, Gregory Peck, Audrey Hepburn, Sordi, Gassman, Totò, Claudia Cardinale, Mastroianni, Ekberg. Titoli che fanno ancora verire i brividi solo a nominarli: Roma Città aperta, Ladri di bicicletta, Vacanze Romane, I soliti Ignoti, La Dolce Vita.
E’ in quella Roma raccontata da giganti della storia del cinema che i nostri due Marescialli si ritrovano a vivere. Hanno conosciuto il mondo stravolto dalla guerra e lo hanno visto rinascere dalle proprie ceneri, come un’Araba Fenice. Ed è un mondo affascinante che attira più del paesetto abruzzese dove sono nati e dove il massimo che si poteva sperare era un buon raccolto, a prezzo di enormi sacrifici e fatiche.
A Roma la vita è diversa: zio Augusto e zio Elia hanno un lavoro e uno stipendio assicurato; la grande città offre svago e divertimenti; loro sono giovani, scapoli, intelligenti, di bell’aspetto e non hanno certo difficoltà a fare una vita sociale brillante. Fanno coppia fissa.
Ormai vecchi non disdegnavano di raccontare le loro avvenure.
Uscirono una volta con due ragazze; le avevano appena conosciute e, ridendo e scherzando, dai pressi di Santa Maria Maggiore, arrivarono ai giardinetti di Colle Oppio, dove si sistemarono su due panchine non distanti una dall’altra.
Il racconto dell’episodio prende a questo punto due pieghe diverse.
Zio Augusto: io parlavo con la ragazza cercando di rompere il ghiaccio; mi giro verso Elia e lo vedo che già l’ha abbracciata e la sta baciando!
Zio Elia, commentando quanto gli ho riferito dell’episodio raccontato dal cugino: sempre uguale Augusto; si perdeva in  chiacchiere senza concludere mai niente!
Zio Augusto e zio Elia, una coppia inseparabile: cugini ed anche compari, due caratteri brillanti, coccioni, a volte anche brontoloni, con una capacità innata di raccontare e raccontarsi. Amavano la vita e forse proprio per questo l’hanno abbandonata, non senza riluttanza, dopo aver totalizzato un paio di secoli tondi tondi.
Quelle rare volte che a casa squilla il telefono fisso alzo la cornetta e mi aspetto di udire la loro voce allegra esclamare: ciao, Angelo!



Condividi

    



Commenta L'Articolo