L’arte svelata - Fisica d’avanguardia per i beni culturali

L’arte svelata
Fisica d’avanguardia per i beni culturali

 

di Mariaelena Fedi e Pier Andrea Mandò

 

 

 

 

Anche in campi apparentemente molto lontani, come quello dei beni culturali, la fisica nucleare trova applicazioni molto importanti. Da una decina di anni nell’INFN si è costituita CHNet (Cultural Heritage Network), la rete di laboratori che sviluppano e applicano metodologie e strumenti innovativi per lo studio del patrimonio culturale. La rete riunisce molte strutture INFN, prestigiosi centri di restauro in Italia e istituti esteri. Struttura di riferimento di CHNet è il LABEC, un grande laboratorio della sezione INFN e del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Firenze, che ha più di 35 anni di esperienza di applicazioni nell’ambito dei beni culturali (e in campo ambientale, vd. Presenze invisibili, ndr). Una lunga tradizione di applicazioni ai beni culturali è anche quella del laboratorio LANDIS ai LNS dell’INFN, a Catania.
La più nota delle tecniche nucleari per i beni culturali è la datazione con il carbonio-14 (14C), un isotopo radioattivo del carbonio. La sua vita media prima di decadere in azoto-14 (14N) è circa 8200 anni. Una piccolissima concentrazione di carbonio-14 (circa uno ogni 1012 atomi di carbonio) è presente nell’anidride carbonica in atmosfera, grazie al flusso di raggi cosmici che ricreano continuamente isotopi di carbonio-14 compensando in un equilibrio dinamico quelli che scompaiono per decadimento.
Nei tessuti organici di tutti gli esseri viventi, vegetali o animali, c’è praticamente la stessa concentrazione di carbonio-14 grazie ai continui scambi metabolici con l’atmosfera.
Dopo la morte, però, la diminuzione di carbonio-14 nelle molecole organiche dei resti dovuta ai decadimenti radioattivi non è più compensata da riassunzione per vie metaboliche: dal momento della morte, il rapporto tra carbonio-14 e carbonio totale progressivamente diminuisce seguendo l’andamento esponenziale del decadimento del carbonio-14. Misurando la concentrazione rimasta oggi nei resti possiamo perciò ricavare il tempo passato dalla morte dell’organismo di origine.
Leggi e fenomeni di fisica nucleare sono quindi alla base del principio di datazione con il carbonio-14. Ma è nucleare anche la tecnica di misura della sua concentrazione residua, necessaria per la datazione: la spettrometria di massa con acceleratore (AMS).

 

 

Andamento della concentrazione residua di carbonio-14 nei resti di un reperto di origine organica dal momento della morte dell’organismo.b.
Andamento della concentrazione residua di carbonio-14 nei resti di un reperto di origine organica dal momento della morte dell’organismo. Misurando la concentrazione residua oggi (in ordinata), si determina il tempo trascorso dalla morte (in ascissa), come evidenziato a titolo di esempio nel grafico (linee tratteggiate rosse). Nella realtà, occorre correggere (e si riesce a farlo) per tenere conto di alcune approssimazioni di questa rappresentazione schematica.

 

 

 

In generale, nelle spettrometrie di massa i “nemici” che limitano la sensibilità nella misura di un isotopo raro sono atomi o molecole di uguale massa (isobari) nel materiale. Per la misura del carbonio-14, i nemici sono principalmente l’azoto-14 e le molecole 12CH2 e 13CH, presenti in quantità molto maggiori. Solo usando come spettrometro di massa un acceleratore di tipo Tandem, per il suo particolare modo di funzionamento, si riescono a sopprimere questi isobari e ottenere quel che serve: il rapporto fra le masse 14 “giuste” (soltanto carbonio-14) e le masse 12 e 13 degli isotopi stabili del carbonio. La sensibilità per il rapporto tra carbonio-14 e carbonio totale arriva a 10-15, cioè si riescono a datare resti di organismi morti fino a circa 50 mila anni fa. Per la misura in AMS bastano minuscole quantità di materiale del reperto, anche molto meno di un milligrammo.
Nel campo dei beni culturali, la spettrometria di massa (senza acceleratore) è utile anche per misurare isotopi di altri elementi: ad esempio, abbondanze diverse degli isotopi del piombo in manufatti metallici (come antiche monete o lingotti) possono indicare provenienze differenti delle materie prime (ricerche della sezione INFN di Milano Bicocca e dei LNGS).
Altro capitolo delle applicazioni nei beni culturali è l’analisi di composizione dei materiali: pigmenti di dipinti, inchiostri in documenti storici, leghe metalliche, vetri, ecc.: un’informazione importante che documenta le tecniche esecutive nei diversi periodi storici, i materiali usati e la loro provenienza (materiali non disponibili localmente, ad esempio, suggeriscono l’esistenza nel passato di canali commerciali con paesi lontani). La conoscenza dei materiali è ancor più fondamentale per i restauratori, perché possano scegliere materiali e tecniche di intervento compatibili.
Le tecniche nucleari determinano la composizione in maniera completamente non invasiva, non distruttiva, non danneggiante (è indispensabile nel caso di opere d’arte!). Nella Ion Beam Analysis (IBA) si “colpisce” il materiale con fasci di particelle di qualche MeV di energia, prodotti dagli stessi acceleratori usati – in maniera diversa – per le datazioni con il carbonio-14 in AMS (al LABEC un Tandem è utilizzato sia per AMS che per IBA). Nelle IBA, le interazioni delle particelle con gli atomi e i nuclei atomici del materiale colpito inducono – fra altri effetti – emissione di raggi X (PIXE: Particle-Induced X ray Emission) o gamma (PIGE). Questi raggi X e gamma hanno energie caratteristiche dell’elemento colpito.

 

Un dipinto di Leonardo analizzato con un fascio di protoni estratto dal canale in vuoto dell’acceleratore di Firenzec.
Un dipinto di Leonardo analizzato con un fascio di protoni estratto dal canale in vuoto dell’acceleratore di Firenze: si notano i rivelatori per raggi X e gamma utilizzati per le misure PIXE e PIGE, rispettivamente.

 

 

 

Appositi rivelatori “riconoscono” queste energie, e così si capisce quali sono gli elementi presenti nel materiale. Con un’unica misura dell’ordine del minuto si individuano praticamente tutti gli elementi presenti, perché tutti vengono colpiti dalle particelle del fascio. Il risultato è quantitativo: maggiore la quantità di atomi di un certo elemento, maggiore il numero dei corrispondenti raggi X o gamma emessi. Fasci di particelle debolissimi (non danneggianti) producono conteggi di raggi X o gamma già sufficienti per rivelare non solo gli elementi maggioritari, ma quelli minoritari o addirittura in traccia.
Al LABEC sono state studiate con IBA numerosissime opere d’arte fra cui dipinti di grandi autori (fra i quali Leonardo, Botticelli, Antonello da Messina, Mantegna, Vasari), usando un originale set-up con fascio estratto dalle linee di vuoto dell’acceleratore, senza necessità di prelevare campioni o di mettere le opere in vuoto, con evidenti vantaggi sia di praticità che di sicurezza per le opere.
Non solo acceleratori come quelli per IBA e AMS, ma anche macchine più grandi come i sincrotroni possono essere utili. In particolare, ai LNF, la radiazione elettromagnetica generata dal moto degli elettroni accelerati, in diversi possibili range di energia, è usata per studiare la composizione di materiali di interesse storico-artistico (soprattutto aspetti legati alle molecole presenti).
I raggi X sono sfruttati anche in altre tecniche di analisi composizionale, come nella fluorescenza a raggi X (XRF), che si basa, come la PIXE, sull’emissione di raggi X di energia caratteristica di ciascun elemento, quando il materiale è colpito da un fascio. Nella XRF però non sono le particelle prodotte da un acceleratore a colpire il materiale, ma raggi X primari prodotti da un piccolo “tubo di Coolidge”. Il diverso meccanismo di interazione fra fascio incidente e materiale-bersaglio (urto fra particelle ed elettroni degli atomi-bersaglio, nella PIXE; effetto fotoelettrico, nella XRF) genera differenze notevoli di prestazione analitica: ad esempio, la XRF è svantaggiata nella rivelazione degli elementi leggeri. Ma la strumentazione è molto più semplice e può diventare portatile, così che si possono fare analisi XRF direttamente in un museo o in un centro di restauro.
Al LABEC sono stati costruiti, anche in collaborazione con altre strutture CHNet, numerosi esemplari di sistemi XRF che effettuano misure a scansione su superfici estese, non solo misure punto per punto.

 

Mappe composizionali di alcuni elementi ottenute con XRF su un dipinto del tardo ’600 fiorentino, confrontate con l’immagine ottica. d.
Mappe composizionali di alcuni elementi ottenute con XRF su un dipinto del tardo ’600 fiorentino, confrontate con l’immagine ottica. Maggiori o minori quantità degli elementi rivelati sono rappresentate in scala di grigi. Si noti tra l’altro come, grazie alla diversa composizione, risaltino forme e dettagli quasi nascosti nell’immagine ottica.

 

 

 

Da queste misure, per ciascuno degli elementi rivelati, si ottiene un’immagine (“mappa”, ad esempio in scala di grigi) che rappresenta come quell’elemento è distribuito sulla superficie scansionata. Confrontando le mappe fra loro e con le forme e i colori delle opere si correlano così i pigmenti utilizzati o le loro miscele con le diverse campiture di un dipinto: un’informazione molto potente per storici dell’arte e restauratori! Decine e decine di dipinti dei più grandi Maestri sono state analizzate dai ricercatori del LABEC in-situ presso i laboratori di restauro dell’Opificio delle Pietre Dure e in tanti altri luoghi. Altre originali tecniche di XRF per imaging composizionale sono state messe a punto ai LNS e utilizzate su opere d’arte.
Pur con il grande vantaggio della “portabilità”, l’informazione fornita dalla XRF resta però inferiore rispetto alle IBA, non solo per la citata scarsa sensibilità agli elementi leggeri. Perciò, insieme ad altre strutture CHNet, al LABEC si è realizzato un prototipo di acceleratore trasportabile, in collaborazione con la divisione di trasferimento tecnologico del CERN. Dimensioni e peso sono molto ridotti rispetto agli acceleratori tipicamente utilizzati per IBA. È il progetto MACHINA, che consentirà a breve di fare anche misure IBA in un centro di restauro o in un museo (vd. fig. e in Dal laboratorio alla società, ndr).
Ci sono infine tecniche nucleari per la diagnostica medica applicabili anche ai beni culturali. I “pazienti” sono opere d’arte anziché esseri viventi, ma gli scopi sono simili: ad esempio, la radiografia e la tomografia sono ideali per “guardare dentro” un’opera (presenza di eventuali strutture di sostegno in opere di grandi dimensioni, di difetti strutturali o di gallerie scavate da tarli in supporti od opere lignee). Strumentazione per radiografia e tomografia X di opere d’arte o reperti archeologici (p. es. mummie), concettualmente identica anche se con parametri di funzionamento talvolta diversi dagli strumenti medici, è stata sviluppata nell’ambito della rete CHNet (Bologna-Torino-Ferrara).
Un aspetto che accomuna tutte le tecniche descritte è che si generano grandi moli di dati, da immagazzinare su macchine e server di grande affidabilità in formati tali da poter essere facilmente recuperati e anche riutilizzati. Per questo negli ultimi anni, per iniziativa soprattutto del LABEC e del CNAF all’interno della rete CHNet, si è aperta una nuova linea di ricerca e sviluppo che si occupa proprio di questi aspetti.
In definitiva, archeologi, restauratori, storici dell’arte e della cultura dispongono oggi di ausili potentissimi per il loro lavoro, frutto di varie applicazioni delle ricerche di fisica nucleare: un esempio tangibile del multiforme impatto che la fisica fondamentale può avere sulla nostra società.

 

Biografia
Mariaelena Fedi è tecnologa presso la sezione INFN di Firenze ed è responsabile di tutte le attività di ricerca & sviluppo in misure di spettrometria di massa con acceleratore e carbonio-14 al LABEC. Laureata in fisica, a partire dal dottorato ha contribuito alla nascita del LABEC. In passato docente in corsi universitari di diversi atenei, attualmente tiene un corso di laboratorio di fisica per i beni culturali presso l’Università di Firenze. Si occupa anche di divulgazione, con particolare attenzione alle attività rivolte a bambine e bambini in età da scuola primaria.

 

 

Pier Andrea Mandò, fisico nucleare, è stato ordinario di fisica applicata nell’Università di Firenze ed è attualmente professore emerito. Dal 2008 al 2015 è stato direttore della sezione INFN di Firenze. Ha avviato fin dagli anni ’80 a Firenze l’utilizzo di tecniche nucleari per scopi applicativi, soprattutto nel campo degli studi sull’inquinamento atmosferico e della diagnostica dei beni culturali, sostenendo poi più recentemente la nascita e la crescita della rete INFN-CHNet.

asimmetrie.it/l-arte-svelata

 



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