LA CHIESA DI ASSERGI: UN GIOIELLO DELL’ARTE SACRA ABRUZZESE

LA CHIESA DI ASSERGI: UN GIOIELLO DELL’ARTE SACRA ABRUZZESE

 

- di Giuseppe Lalli -

 

 

La chiesa parrocchiale di Assergi, intitolata a Santa Maria Assunta, sorge, col suo snello campanile dalla doppia tessitura muraria, sullo sfondo di una leggiadra piazza dalle reminiscenze leopardiane, con al centro una graziosa fontana (fatta erigere a fine Ottocento dall’allora sindaco del comune di Camarda Dott. Giulio Giacobbe) dove un tempo le donne del paese attingevano l’acqua per l’uso domestico con le tradizionali conche di rame. La bellissima piazza, dove a primavera la luce e le rondini si davano appuntamento, ancora nella seconda metà del secolo scorso era animata da frotte di bambini e bambine che, nella bella stagione, ne facevano il luogo preferito dei loro infiniti giochi (chi scrive queste note, nato e cresciuto nei pressi di quel sito ameno, ancora custodisce nel cuore la gioia ineffabile che provava allorché, libero dai doveri scolastici, correva a gambe levate verso quell’agognato spazio di svago).

Assergi, come è noto, fu uno dei castelli, e tra i più illustri e fiorenti, che fondarono la città dell’Aquila.

L’atto di battesimo dell’originario edificio sacro sul cui nucleo si è venuta sviluppando attraverso i secoli l’attuale chiesa parrocchiale, è del 1150 (come risulta da un documento ritrovato nella seconda metà del XVIII secolo in seguito alla demolizione dell’altare dedicato a Sant’Egidio, antico protettore del villaggio prima di San Franco (1) ), ma a sua volta la parrocchiale del 1150 dovette rilevare una precedente pieve, funzionale ad un insediamento abitativo a carattere sparso,  presumibilmente già presente prima del Mille e che residua, con tutta probabilità, nella vetusta cripta sotterranea (2).

Non è dato di sapere con certezza se il tempio del 1150 si presentasse già con le sue larghe navate laterali (come vorrebbe l’ipotesi assai realistica e ben argomentata avanzata da un appassionato cultore assergese (3) ); oppure, come opina un altro affermato studioso, oppure esse furono aggiunte con successivo intervento già a partire dalla metà del secolo successivo alla costruzione, poco dopo la morte di Franco, il santo eremita divenuto il principale protettore del borgo, dovendosi dare ai suoi resti mortali più degna dimora, oltre che incrementare un pellegrinaggio che doveva  essere già iniziato (4).

È da supporre, poi, che le due asimmetriche cappelle presenti nelle navate laterali, riaperte in seguito ai restauri degli anni ‘70 del secolo scorso, siano state realizzate tra il XV e il XVI secolo, allorché ebbe termine la fase costruttiva medievale (5).  

In quanto chiesa–santuario, e che registrava inoltre la presenza dei monaci, la chiesa parrocchiale di Assergi aveva nei secoli passati uno statuto speciale, giacché, a differenza delle chiese di altri castelli, non era soggetta alla sua chiesa aquilana di riferimento, quella   intra moenia, che si trovava  – e ancora si trova – nel quarto di Santa Maria e che, ceduta ai Carmelitani ai primi del ‘600, muterà nome (da ‘Santa Maria d’Assergi’ a ‘Madonna del Carmine’);  ma, al contrario, esercitava su di essa il suo governo (6). Inoltre, subito dopo la partenza dei monaci, divenne chiesa capitolare, vale a dire retta da un preposto e da quattro canonici. La nomina del preposto, come ricorda Nicola Tomei (1718–1792) in quello che è da considerare il primo scritto organico sulla storia di Assergi e sul culto di San Franco, doveva essere ratificata dal papa (7).

Dal punto di vista artistico, la chiesa mostra una felice convivenza di stili, ravvisabile sia all’esterno che all’interno.

Ignazio Carlo Gavini (1867–1936), insigne architetto e raffinato storico dell’arte che ai Monumenti d’Abruzzo dedicò tanta parte della sua attività professionale, che visitò la chiesa assergese nel 1899 e molto l’apprezzò, scrisse che essa parlava molte lingue: quella rinascimentale sulla facciata, la barocca all’interno, e sotto, nella cripta, « il più oscuro linguaggio del medio evo » (8).

Oggi, dopo i decisivi – e discussi – restauri del secolo scorso cui si è accennato, la sola traccia dello stile barocco, all’interno, si rinviene nelle due colonnine di una piccola edicola lignea che incornicia un grazioso secentesco dipinto di Madonna con Bambino vicino all’altare maggiore, a destra di chi guarda; mentre all’esterno lo stesso stile figura nella facciata tardo–secentesca della cosiddetta “congrega”, un edificio attaccato al corpo della chiesa realizzato nella seconda metà del XIX secolo ad opera di una confraternita (la facciata, ivi rimontata nei primi anni ‘30 del secolo scorso, era superstite della demolizione della chiesetta conventuale di Santa Maria in Valle).

Nel periodo rinascimentale l’interno della basilica non subì modifiche sostanziali. Nella facciata, invece, realizzata tra la fine del XIV secolo e i primi decenni del XV (ciò che solo giustifica il richiamo alla «lingua rinascimentale» cui accennava il summenzionato esperto), un elegante portale tardo–romanico (in tutto simile a quello della chiesetta aquilana di Sant’Agnese, oggi non più visibile in quanto inglobata dal vecchio ospedale San Salvatore, nonché somigliante a quello della chiesa assergese intra moenia del Carmine), convive con un leggiadro rosone, databile a fine ‘300, tipicamente gotico, perfetta replica di quello che si ammira sopra il portale di sinistra della basilica di Collemaggio all’Aquila. In omaggio a quella interessante commistione di sacro e profano che si ravvisa nelle nostre antiche chiese d’Abruzzo, nel ricco architrave è scolpita la vite, simbolo liturgico per eccellenza, presente anche nell’Antico Testamento, nonché pianta evocativa di vita e di convivialità. Nel rosone, sempre per rimanere sullo stesso tema, figurano dodici raggi: dodici come gli apostoli, come le tribù d’Israele, come, infine, i mesi dell’anno, ad indicare la pienezza del tempo.

L’interno, che agli occhi del visitatore si anima di pregevoli affreschi e di robuste forme architettoniche, offre altri esempi di questa felice combinazione di stili.

Ciò che risalta ad una  prima attenta osservazione è che i caratteri del primo gotico, ravvisabili nelle luci (in particolare nella monofora sopra l’abside) e nell’involucro murario (le nicchie ogivali), nella chiesa assergese, a differenza di altri edifici sacri cistercensi del territorio forconese come Santo Spirito ad Ocre o Santa Maria ad Criptas a Fossa, a cui essa si può legittimamente rapportare, mentre impreziosiscono l’ambiente, non compromettono l’originaria struttura romanica, che resiste sia nella forma delle colonne, pesanti e a tutto sesto, sia nelle caratteristiche dell’abside, semicircolare e di piccola dimensione (9).

Inoltre, il già citato restauro dei primi anni ‘70 del secolo scorso, dovendo riparare ai guasti prodotti in età tardo–barocca (tra il 1746 e il 1784), allorché era stata innalzata la volta, richiuse cappelle e finestre, riquadrate le colonne e seppelliti gli affreschi con disinvolte manate di stucco, ha riportato alla luce, insieme ad un manto pittorico delicato seppure in gran parte frammentario (con dipinti sulle colonne e sulle pareti che vanno dal XIV secolo – qualcuno, forse, è più antico – al XVI), alcuni affreschi autorevolmente attribuiti a Saturnino Gatti (1459/63–1518ca) e a Francesco  Montereale (1466 o 1475ca–1541), due tra i più grandi protagonisti del Rinascimento aquilano.

Un altro esempio di virtuosa commistione lo troviamo nel tabernacolo a sinistra dell’altare per chi guarda, pezzo davvero unico, in pietra policroma, dove l’eleganza rinascimentale dei due pilastrini si sposa con il raffinato disegno gotico dell’archetto cuspidato: il tutto ad incorniciare una suggestiva Pietà – opera del summenzionato Francesco da Montereale –  che è realistica e intuitiva rappresentazione del mistero eucaristico.

C’è, infine, la stupenda cripta, antichissima, dove questa combinazione si presenta sotto altra forma ma in maniera non meno affascinante: una scarna architettura romanica, che un restauro del 1966 ha riscoperto nella sua nuda e mistica bellezza (altro che «oscuro linguaggio del medio evo»!) fa da cornice ad una pregevole gotica espressione scultorea. Dolcemente adagiata su un cassone di noce che funge da reliquiario, si ammira una pregevole statua lignea raffigurante una misteriosa donna coronata sulla quale è fiorita attraverso i secoli un’avvincente leggenda popolare (regina del Cielo o regina della terra?). L’originale opera, quanto a stile, sembra diretta erede della scuola ‘Île de France’(10) (cosiddetta dalla regione che ha tenuto a battesimo il gotico), e potrebbe da sola giustificare un’intera sala museale.

Sull’altro lato, dentro un’elegante gabbia di ferro, a racchiudere i resti mortali del santo protettore, poggiante su di un basamento di pietra impreziosito nella faccia anteriore dai resti di un ambone bominacense del XII secolo, un’artistica urna ricalcata su un’opera (gelosamente custodita in altro luogo) di Giacomo da Sulmona, «gotica di concezione e rinascimentale di esecuzione» (11), ripropone la felice mescolanza degli stili e delle forme.

Bastino questi brevi cenni a dare l’idea che ci troviamo di fronte ad una tra le più belle e interessanti chiese del territorio aquilano, in uno tra i più suggestivi angoli di questo nostro Abruzzo magico, misterioso e mistico.

 

 

Note al testo :

 

(1) N. TOMEI, Dissertazione sopra gli atti e culto di S. Franco, Napoli, Coda, 1791, p. 29 ;

(2) Cfr. O. ANTONINI, Chiese ‘extra moenia’ del Comune dell’Aquila prima e dopo il sisma, Castelli (Te), Verdone Editore, 2012, p. 134. ;

(3) Cfr. G. SANSONI, Nomade della speranza, pellegrino dell’assoluto, REA Editoria & Comunicazione, 2021, p. 49-54 ;

(4)  Cfr. O. ANTONINI, Chiese ‘extra moenia’...cit., p. 139 ;

(5)  Ibidem ;

(6)  N. TOMEI, Dissertazione…, cit, pp. 43-44 ;

(7)  Ivi, p. 16  ;

(8)  I. C. GAVINI, Santa Maria Assunta in Assergi, p. 6  ;

(9)  Cfr. O. ANTONINI, Chiese ‘extra moenia’...cit., p. 139 ;

(10) Cfr. U. CHIERICI, Arte in Abruzzo, in Abruzzo , Milano, Ed.  Electa, 1963, p. 228 ;

(11) M. CHINI, Silvestro aquilano e l’arte in Aquila nella seconda metà del sec. XV, Aquila, La Bononiana, 1954, p. 139.

 

 

 



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