Breve Storia dei Volontari Abruzzesi Sangue, Sezione di Paganica

Il 2 Giugno 2012 a Grassano (MT) si è svolta una manifestazione di gemellaggio tra le Sezioni FIDAS - VAS di Grassano e Paganica (L’Aquila).
Raffaele Alloggia, fondatore della Sezione VAS di Paganica (AQ) ha rivolto un saluto ai presenti che integralmente pubblichiamo.
“Buon pomeriggio a tutti; sono emozionato, sia in quanto non avvezzo nel parlare in pubblico sia nell’accingermi a rappresentare la storia della Sezione Donatori di Sangue di Paganica, dopo quasi 40 anni e per la prima volta lontano dal nostro paese. Sono Raffaele Alloggia, primo Presidente di Sezione e saluto i donatori di sangue, le autorità e i cittadini tutti.
Leggendo sul sito Internet del Comune di Grassano, come e quando nacque la locale sezione donatori di sangue, mi è venuto spontaneo un paragone con la nostra. Nel 1980, il terremoto dell’Irpinia provocò migliaia di morti e feriti, oltre alla devastazione delle abitazioni di cui anche voi rimaneste coinvolti. In quella circostanza nel segnalare ritardi e insufficienze nei soccorsi e per richiamare tutti ad un maggior senso di solidarietà, ivi incluso il dovere civico del dono del proprio sangue, per la cura dei tanti feriti, ci fu lo “storico grido” del compianto Presidente Sandro Pertini che ben ricordo in quanto anche noi fummo chiamati dal centro trasfusionale. Ciò fece sì, che un gruppo di grassanesi, sensibili anche al problema della propria comunità, verso il dramma che vivevano alcune famiglie, per i loro bambini affetti da “anemia mediterranea”, decisero di costituire la Benemerita Sezione Fidas di Grassano. Diversa invece, l’intuizione che portò alla costituzione della nostra sezione: Avevo donato il mio sangue, la prima volta, per il padre di un mio collega di lavoro che, però, perse comunque la vita, a causa di un’incurabile malattia. Fu per me, come donatore di sangue, un inizio molto deludente, ma la speranza con la quale avrei voluto aiutare quell’uomo, rimase viva in me e continuai a donare il sangue anche durante il servizio militare. Fu così che in una fredda mattina d’inverno del 1974, mentre mi accingevo ad uscire di casa per andare al lavoro, bussò alla porta una nostra compaesana. La donna aveva il volto stravolto e gli occhi ancora rossi che sapevano di pianto, poiché aveva passato la nottata in ospedale a fianco di suo marito. A bassa voce mi chiese, come per non farsi sentire da altri, se era vero che io ero un donatore di sangue. Le risposi di sì e lei mi confidò di essere disperata poiché, il venerdì successivo, suo marito sarebbe dovuto essere operato e non riusciva ancora a trovare persone disponibili a donare il sangue per le trasfusioni che sarebbero state necessarie. Era passata prima da me solo per paura di non trovarmi, una volta che fossi uscito di casa. Cercai allora di tranquillizzarla dicendole di stare accanto al marito e che mi sarei occupato io di trovare i donatori per recuperare il sangue necessario. Era la prima volta che mi trovavo coinvolto in prima persona in un caso del genere e, tra l’altro, l’uomo era ancora molto giovane. Quello stesso giorno ne parlai con un mio collega di lavoro, che qualche anno prima si era trovato coinvolto in una situazione simile, e si mise subito a mia disposizione. La sera, tornato a casa, iniziai la ricerca di altri tre donatori. Cercai in tutto il paese e mi fu veramente difficile trovare altre persone che si rendessero disponibili a donare il sangue; mi indirizzavano di casa in casa, solo perché forse avevano sentito dire che tizio o caio era donatore! Passai la notte insonne, pensando alla disperazione di quella donna; fino a quel momento avevo donato il sangue senza mai immaginare l’angoscia dei famigliari dei malati che avevano ricevuto il mio sangue! Fu questa circostanza che fece nascere dentro di me l’idea che la comunità Paganichese, avesse bisogno di un gruppo di donatori di sangue ben identificati e organizzati. Avevo appena 25 anni e sentivo il bisogno di avere un supporto morale per sostenere l’iniziativa, così nei giorni successivi mi recai alle abitazioni di alcuni pionieri del dono del sangue a Paganica. Tutti, in momenti diversi, mi risposero “..magari! noi ci provammo anni fa, ma senza riuscirci”. Fu sufficiente quel “magari” a darmi la forza di andare avanti. Iniziai subito a raccogliere le adesioni, in quegli anni, giocavo con la locale squadra di calcio ed avevo anche un ottimo rapporto con i giovani amici della squadra del Paganica rugby che giocavano nel campionato nazionale di serie C e anche se non fu facile convincerli, tra donatori occasionali e aspiranti donatori, stilai una lista di una sessantina di persone la maggior parte composta da giovani, con la quale nel dicembre del 1974, mi presentai al Direttivo Provinciale dell’Aquila chiedendo e ottenendo poi, dopo una serie di incontri, la costituzione della Sezione Donatori di Sangue di Paganica. Quindi, così come è stata costituita una Sezione di Donatori di Sangue, a seguito di una tragedia collettiva, come nel vostro caso, se non c’è indifferenza, bensì solidarietà, altruismo e senso civico verso chi ha bisogno, anche per l’esigenza di una sola persona può scoccare la scintilla e realizzare la stessa cosa, come nel nostro caso. Da allora, supportato da un gruppo di convinti donatori, ancora oggi zoccolo duro del nostro direttivo, c’è stato sempre un crescendo e i Presidenti di Sezione che si sono avvicendati, con il supporto dei relativi direttivi, hanno sempre portato un valore aggiunto. Dopo qualche anno di girovagare, nel 1977, il comune dell’Aquila, su nostra richiesta, ci mise a disposizione un locale dell’ex carcere mandamentale attiguo alla chiesa di Santa Maria del Presepe, detta del Castello. La fretta e la voglia di avere una sede propria non ci fece perdere tempo e, nonostante fosse inverno e le temperature proibitive, iniziammo subito i lavori di consolidamento e restauro. Per almeno tre mesi, un nutrito gruppo di donatori, con generosa passione, tutte le sere e fino a tarda ora, rinunciò al calore del camino e della famiglia, per realizzare un luogo in cui incontrarsi, discutere, programmare e crescere per il bene comune. Nei giorni seguenti al restauro, furono molti i cittadini curiosi che vollero visitare la nostra sede, poiché sin dai primi dell’ottocento nel periodo risorgimentale, quei locali furono adibiti a carcere mandamentale in cui si scontavano anche pene relative a piccoli reati, quindi, tante le storie che nel paese si raccontavano.
Ma durante il Ventennio, mentre Carlo Levi veniva confinato a Grassano, quelle prigioni da noi furono utilizzate anche per reprimere chi non condivideva quelle idee. Così una domenica mattina di buon ora, un signore anziano mi pregò di condurlo alla nostra sede, con l’intento di rivedere le “carceri”, così come lui le chiamò. Mentre salivamo verso il Castello, con il passo appesantito dagli anni, cominciò a raccontare fluentemente le sue storie, fermandosi davanti al portone giusto il tempo di girare la chiave nella toppa e aprire quella stessa porta dalla quale, più di cinquant’anni prima, era uscito senza voltarsi indietro. Mi confessò che gli tremavano le gambe; cercai di sdrammatizzare, ma capii bene che doveva essere forte la sua emozione ripensando al suo passato. Varcato il breve tratto dell’androne, ci trovammo sul ballatoio in cima alle scale e, alla vista del cortile interno, dove i reclusi passavano l’ora d’aria, iniziò a raccontare, come un fiume in piena, come i reclusi trascorrevano quelle giornate, fino a che un groppo in gola gli impedì di proseguire. Entrammo nel “camerone” e, di nuovo, fu assalito dai ricordi, scrutava il pavimento come se avesse perduto qualcosa, fin quando fissò lo sguardo su un punto: non aveva dipinto tele, ne scritto il famoso romanzo “Cristo si è fermato a Eboli” come il noto Carlo Levi, ma durante la sua detenzione, con un chiodo, lui semi-analfabeta, aveva inciso sulla pietra il suo nome e la data, - affinché nessuno potesse dimenticare -. Solo un gesto, le parole si smorzarono e la sua commozione prese anche me. Poi, sul pavimento di pietra, altri nomi, altre vicende umane che sono parte della nostra storia, con il loro triste bagaglio di sofferenza e privazione del bene più alto, quello della libertà, duro da digerire per piccole responsabilità in diatribe tra poveri cristi.
Conclusa la visita, prima di uscire dal camerone, egli cacciò la mano nella ”mariola” tirando fuori una bottiglietta da un quarto, quella della gassosa di una volta piena di vino, tenne a precisare della sua vigna, da una tasca tirò fuori un bicchiere di vetro ottagonale e volle che bevessi prima di lui alla salute di tutti i donatori di sangue. Espresse, così, tutta la sua gratitudine verso i donatori per aver trasformato quel “camerone” da luogo di sofferenza e repressione, a luogo d’incontro e di impegno sociale. Ero a stomaco vuoto, ma non me la sentii di rifiutare dopo quella lezione di vita vissuta. A proposito della chiesa del Castello attigua all’ex carceri, in cui fu celebrata la Santa Messa in occasione dell’inaugurazione della nostra Sezione e successivamente sconsacrata, di cui come donatori ne utilizzavamo la sacrestia, quale cucina per l’annuale festa del donatore di fine luglio, ritengo interessante e opportuno ricordare un antico evento che legò nei secoli scorsi, la nostra terra, alla vostra. Nel medio Evo la regina Giovanna figlia del Duca di Calabria, autorizzò L’Aquila e il suo distretto, quindi anche Paganica a costruirsi mura di cinta e fortezze relative, per difendersi dalle “compagnie di ventura”. Così nel 1424 Braccio Forte da Montone, capitano di una di queste compagnie, nell’intendo di conquistare la bella e ricca città dell’Aquila, assediò le mura del Castello di Paganica. Dopo 10 giorni di resistenza, i paganichesi si arresero per scarsità di viveri. Una volta insediatosi nel castello, Braccio Forte data la vicinanza, incominciò ad attaccare ripetutamente L’Aquila impedendo anche il rifornimento dei viveri dalle campagne circostanti, in città. Per ovviare a ciò L’Aquila dopo essersi militarmente rinforzata, intraprese una vera e propria battaglia con l’esercito di Braccio Forte che lo sconfisse definitivamente proprio nelle vicinanze di Paganica. Ma gli Aquilani, non furono mai convinti della resa dei paganichesi, bensì maturò in loro l’idea che ci fosse stata invece una vera e propria alleanza con Braccio Forte da Montone, così il 16 giugno 1424, solo pochi giorni dopo aver sconfitto il capitano di ventura, le milizie Aquilane guidate dal Camponeschi, rasero al suolo la fortezza del Castello paganichese. Nel 1553 nacque a Paganica Giuseppe de Rubeis, figlio di un avvocato e nipote di un prete, che intraprese la carriera ecclesiastica diventando poi, nel marzo del 1599, Vescovo dell’Aquila, sotto il papato di Clemente VIII. Da giovane racconta il Vescovo De Rubeis, abitava sotto le rovine del Castello tanto che le pietre poggiavano alle mura della loro casa. Da grande avrebbe voluto ricostruire le mura della fortezza, ma divenuto Vescovo, ciò non gli era concesso, per cui fece progettare, sostenuto da papa Clemente VIII, una grande Chiesa dedicata a Santa Maria del Presepe, ma da sempre detta appunto, del Castello, utilizzando anche le pietre “quadre” dei resti del Castello. La Chiesa nacque come parrocchiale in quanto quella già esistente era piccola e non conteneva i fedeli avendo Paganica già nel 1600 cinquemila anime e fu inaugurata il 4 luglio 1605. Nel frattempo,nel marzo del 1605, morì papa Clemente VIII e la Collegiata di Santa Maria Paganica intus (L’Aquila) che esercitava l’attività parrocchiale e battesimale anche su Paganica, inviò un ricorso < > alla Sacra Rota contro l’operato del vescovo De Rubeis, scrivendo tra l’altro che la Chiesa fu costruita come parrocchiale, senza il loro assenso abusando della propria autorità. Il ricorso fu accettato dal nuovo papa Leone XI, il Vescovo De Rubeis fu nominato Arcivescovo e nel settembre del 1605 appena tre mesi dopo l’inaugurazione della Chiesa, fu trasferito dalla Santa Sede, alla sede Arcivescovile di Matera in Basilicata. L’Arcivescovo, vide questo trasferimento così lontano, per quei tempi, come una punizione, avvilito, da Matera inviò alla Sacra Rota le proprie controdeduzioni, ma a nulla valsero, così nell’inverno del 1609 nel tentativo di convincere i suoi avversari, tornò a Paganica dove nei primi di febbraio del 1610 morì e per sua volontà fu sepolto nella “sua” Chiesa del Castello di Paganica. Dalla costituzione della nostra Sezione ad oggi, tante sono state le missioni in cui abbiamo partecipato con la sezione provinciale dell’Aquila, in particolar modo alle donazioni di sangue a favore dei bambini talassemici, in varie località della Sardegna, nel 1983 a Salonicco in Grecia e anche in Basilicata nella vostra provincia, per i bambini della cittadina di Bernalda . La nostra sezione, dopo quella dell’Aquila, è la più numerosa del nostro comprensorio, sia come donatori (circa 500) sia come donazioni annue (circa 800) ed ha nel suo palmares numerosi donatori che per il numero delle loro donazioni effettuate negli anni, alcuni hanno raggiunto la terza medaglie d’oro, parecchi la seconda e molti la prima, poi a ruota decine medaglie d’argento e di bronzo. È opportuno dire anche, che le nostre potenzialità sarebbero certamente superiori, ma i donatori al di là delle tre giornate di donazioni collettive che facciamo durante l’anno a Paganica, restano in attesa della chiamata del centro trasfusionale dell’Aquila in virtù delle esigenze anche dei centri trasfusionali, delle provincie limitrofe. A tal proposito, nell’estate del 2004, la Regione Abruzzo commissionò a un gruppo di studiosi nel campo della trasfusione del sangue della Croce Rossa Italiana, uno studio specifico sulla Sezione Donatori di Sangue di Paganica per individuare le motivazioni che inducono i cittadini del nostro paese alla donazione, in modo così corposo. Così fu somministrato un test a un settimo dei donatori, individuando in tal modo un gruppo statisticamente rappresentativo dell’intera popolazione dei donatori, con l’obiettivo di rilevare il “profilo psicodiagnostico”. Dai dati emersi, dichiarati dagli esperti, la Sezione Donatori di Sangue di Paganica è risultata essere, un’eccezione nella realtà trasfusionale italiana, con un indice di donazione, pari al 73,23 per mille, mentre la media italiana è del 37 per mille. Siamo certi che gran parte di quanto rilevato dagli esperti, sul nostro “profilo psicodiagnostico”, si possa percepire leggendo ciò che scrisse Primo Levi nel descrivere gli abitanti del nostro territorio: …. qua vive una gente forte veramente e gentile; serena come l’ignoranza, riflessiva come la sapienza; in cui l’altruismo e il rispetto si sposano alla cordialità; ospitale con la spontaneità antica e la delicatezza moderna; educata dai monti alla libertà, costretta dalla roccia al lavoro, trasformando il nudo sasso in zolla feconda …. Il terremoto del 6 aprile 2009, il cui epicentro è stato proprio Paganica, ha distrutto completamente il nostro centro storico, così anche il piccolo complesso carcerario di cui faceva parte integrante la nostra sede, ne è uscito malconcio e la sua ricostruzione stenta a partire; per cui mi chiedo, chissà, specialmente dopo ciò che sta accadendo in Emilia Romagna, se noi che abbiamo i capelli bianchi potremmo mai rientrarci! Da qualche giorno, abbiamo di nuovo una nostra sede anche se di legno, ma l’obiettivo dei donatori di sangue di Paganica, è e dovrà essere, per chiunque in futuro sarà alla dirigenza, quello di ritornare nella nostra sede, perché là, tra le vie del centro storico, è iniziata la storia della nostra Sezione, è là che affondano le nostre radicci. Infine, anche se questa è storia recente, un grazie di cuore va al direttivo della sezione di Grassano e del vice presidente della FIDAS nazionale Antonio Bronzino, poiché quando circa un anno fa, avemmo i primi contatti e ci fu proposto quale giorno del gemellaggio, l’ultimo fine settimana di luglio, in concomitanza con la vostra festa del donatore, noi non accettammo quella proposta, in quanto proprio negli stessi giorni, da decenni, anche noi festeggiamo la “giornata del donatore”. L’evento, è uno dei pochissimi appuntamenti estivi paganichesi, rimasti dopo quel 6 aprile e che per forte volontà del direttivo di Sezione, nemmeno il terremoto riuscì a interrompere, festeggiammo, anche se con umore diverso e molto sobriamente, mentre la terra continuava a borbottare. Ma grazie alla vostra sensibilità, percepiste bene, che nella situazione in cui ci trovavamo, non avremmo potuto tradire la nostra gente, che tanto ancora oggi soffre, cacciata dalle proprie case, in un abitare che non fa parte delle nostre tradizioni, anche se confortevole. Senza lavoro poiché centinaia di attività commerciali e artigianali non sono state mai riaperte, le poche fabbriche licenziano in continuazione, tutto ciò in un contesto di recessione e crisi generale. Grazie ancora, a nome della nostra Sezione, per avervi fatto carico, nell’organizzare l’evento, di un lavoro così impegnativo, che si è aggiunto alle tante iniziative che avevate già in programma per l’anno in corso.


Raffaele Alloggia

 



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