RITI RELIGIOSI E PAGANI DEL VENERDI’ SANTO - di Angelo De Angelis

RITI RELIGIOSI E PAGANI DEL VENERDI’ SANTO

 

- di Angelo De Angelis -

 


Un giorno, ero molto piccolo, entrai nella cantina di casa di mia nonna, a Santa Maria: era un locale seminterrato, buio e umido, con una sola minuscola finestra, attraverso cui non era mai filtrato neppure un raggio di sole. Veniva aperta una volta l’anno quando, dopo il rito della vendemmia, il mosto cominciava a ribollire all’interno delle botti. Erano i primi di aprile e li dentro si percepiva solo il profumo del vino; la finestrina era chiusa ed all’interno c’era il leggero chiarore proveniente dalla porta. Premetti sull’interruttore ed una luce fioca s’irradiò dalla lampadina. Fu allora che vidi un oggetto strano, mai visto prima: un vaso circolare, basso, dal quale usciva un qualcosa che non era pianta, non erano fiori e neppure sembrava erba; chiesi cosa fosse e mia nonna, con tono sacrale e con voce tenue disse “è per il sepolcro”. Non avevo capito nulla ma l’aura di mistero che si sprigionò da quelle semplici parole mi intimidì e restai zitto.
Era la sera del giovedì santo, qualche giorno dopo, e vidi di nuovo quel vaso all’interno della chiesa insieme ad altri che le donne del paese avevano per settimane curati e custoditi nelle loro case: erano posti ai piedi di un tavolo ricoperto da un drappo viola. Appresi allora che ogni famiglia sacrificava, per onorare il Cristo morto, un pugno di grano, mettendolo a germogliare al buio e facendo crescere quei fili sottili di colore giallo somiglianti ad una fontana di lacrime alla ricerca disperata di luce. Non so chi abbia la prima volta arredato un sepolcro con quelle spighe abortite, ma chi lo ha fatto sicuramente ha visto in esse la rappresentazione mesta e malinconica della morte e la ricerca di nuova luce.
Fu quello il primo incontro con i riti della settimana santa.
Pochi anni dopo, avevo ormai sei anni, uscii al tramonto con i genitori per partecipare ad un altro, suggestivo rito: la processione del Cristo morto.
Oggi so che quella processione ebbe origine, a L’Aquila, nel 1505 e fu celebrata fino al 1768, quando fu interrotta per non meglio specificati motivi di ordine pubblico.
So anche che la tradizione fu ripresa nel 1954 e che i simboli portati in processione furono disegnati da un artista abruzzese famoso, Remo Brindisi. Si racconta che il primo Cristo Morto fu trasportato in autobus dall’organizzatore dell’evento, Frà Salvatore, avvolto a delle coperte e riposto, poveretto, nel bagagliaio insieme alle valigie degli altri viaggiatori che da Chieti si recavano all’Aquila; ultima chicca una polemica tra confraternite di Chieti e dell’Aquila per aver L’Aquila copiato il Miserere di Selecchy come canto di accompagnamento del Cristo.
Ma tutte queste cose, a sei anni non le sapevo e rimasi impressionato e turbato da quel mesto corteo di figure disciplinate e compassate che sfilavano di notte in città, divenuta buia per compassione, tra la devozione di tanto popolo e la fioca luce traballante di candelieri e torce portati dai figuranti. Rimasi affascinato dal gruppo canoro, con le donne vestite e velate di nero e con voci tonanti e malinconiche accompagnate dal pianto dei violini.
Beh, nonostante la tenera età, riuscii a percepire anche il sottile chiacchiericcio di molti adulti all’apparire delle autorità civili che seguivano il simulacro; chi parlava a mezza bocca, aveva “sentito dire” dei vizi e peccati di questo o quel personaggio e si beava, molto poco cristianamente, nel rendere partecipi amici e parenti di cotanta conoscenza; anni dopo venni a sapere della devozione particolare degli Aquilani per Sant’Agnese e capii certi atteggiamenti e certe azioni compiute nel bel mezzo di una manifestazione sacra, laddove la sacralità serviva per dare maggiore risalto e credibilità alle storielle raccontate.
Passarono anni, durante i quali la frequentazione a quell’evento così suggestivo si trasformò in tradizione di famiglia ed arrivò il tempo dell’adolescenza. Il primo tra i miei amici che prese consapevolezza dei pruriti dell’età fu Agostino, che chiese la libera uscita alla rigidissima madre, e la ottenne in cambio della promessa di limitare l’orario a quello della processione, della messa e della predica che seguivano. Agostino era un grande trascinatore che riusciva ad ottenere fiducia anche dai genitori degli amici e così quel suo permesso si estese ai compagni di scuola e di merende. Ovviamente, della processione si vedeva solo l’uscita dalla basilica di San Bernardino, perché poi immediatamente ci si recava alla pizzeria Vesuvio per festeggiare e godere di quel primo sprazzo di affrancamento dalla condizione di bambini.
Finì in tal modo la celebrazione del rito religioso ed iniziò la celebrazione dei riti pagani della settimana santa.
Si cominciava il giovedì sera con la visita ai “sepolcri”, che non erano più le meste ambientazioni all’interno delle stupende chiese barocche aquilane. I sepolcri pagani altro non erano che le cantine che allora pullulavano in ogni angolo di strada. Non c’era limite alla visite, purché in numero strettamente dispari. Dopo i primi sepolcri cominciavano le dispute sui numeri pari e dispari e così, anno dopo anno, si tornava a casa sempre più tardi e sempre con maggiori dubbi sul numero dei sepolcri visitati.
Più impegnativa era la celebrazione della  “via Crucis” per via delle quattordici stazioni ciascuna delle quali prevedeva momenti di riflessione e preghiera nelle medesime cantine, dentro le quali, in mesto raccoglimento, ciascuno era tenuto a bere l'amaro calice di vino, usualmente chiamato "tazza"; e le tazze divennero l'unità di misura delle stazioni della Via Crucis.
Il bello di questa storia è che con l’età - e con la riacquisita sobrietà legata alla fine dell’adolescenza - è stata sempre mantenuta la tradizione della cena in pizzeria al venerdì santo alla quale i miei vecchi compagni di scuola non hanno saputo rinunciare, neanche quando abbiamo cominciato a rivivere il rito religioso con mogli e figli a fianco.
Certo comincia al aleggiare un po’ di tristezza quando ci si ritrova tra vecchi compagni di scuola per qualche assenza definitiva, ed ormai è più di una. Manca la presenza di Agostino, che ci ha lasciato qualche anno fa. E la tristezza aumenta, quest’anno, per il dover stare chiusi in casa, privi di quell’abbraccio collettivo che coinvolgeva i vecchi compagni di scuola, oltre che l’intera città.
Anche stasera esco in giardino e guardo la luna che sta sorgendo ad est. Dietro ad essa offuscata da un leggero drappeggio di nuvola, vedo chiaramente una tavola imbandita ed angeli che cominciano a svolazzare servendo pizze al piatto: cavolo, Agostino sta la in mezzo; da grande organizzatore qual è sempre stato, sta festeggiando il venerdì santo con persone che riconosco e che hanno nome Andrea, Pietro, Giacomo, Giovanni, Filippo, Tommaso, Matteo, …. e c’è anche una donna: si chiama Maria!
Agostì, tra un po’ d’anni, ma senza fretta mi raccomando, prenota un posto anche per me….

 



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