Morte sul Gran Sasso, il ricordo del compagno di scalata testimone oculare della tragedia

Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, compagno di scalata di Antonio Cardellini, è stato testimone oculare della tragedia. Ecco il suo racconto. La giornata era cominciata nel migliore dei modi. Invece, sabato, 24 novembre 2012, sarà una data che rimarrà indelebilmente dentro di noi profondamente incisa come solo il marchio della tragedia riesce a fare. Fuga dalle uggiose brume della pianura in cinque, destinazione monte Prena, sul Gran Sasso. Sole in cielo e tappeto di nubi sotto di noi, vento calmo e temperatura accettabile: le condizioni ideali per una giornata di montagna all'insegna della spensieratezza e dell'allegria. Del resto non era la prima volta: avevamo provato quelle piacevoli sensazioni decine di volte. Il risultato era garantito. Invece, alle 12,30, uno di noi aveva l'appuntamento più drammatico che avrebbe spezzato la sua esistenza terrena, mentre agli altri il fato avrebbe riservato una sorte più favorevole ma segnandoli per il resto dei loro giorni. Oggi scrivo con il cuore gonfio di pianto per ricordare un amico, Antonio Cardellini.

Con lui, insieme a un gruppo di amici di Sulmona, condivido la passione per la montagna. Amici che da sabato scorso non sono più gli stessi: avvertiranno sempre un vuoto a loro fianco che non potrà mai essere colmato se non dalla memoria di una persona quotidianamente straordinaria e dalla consapevolezza che nel giorno fatale uno di noi, quello che gli era più vicino, ha fatto tutto quello che era umanamente possibile ed anche di più per strapparlo alle spire che lo avevano ghermito per trascinarlo nel buco nero della morte. Remo lo ha afferrato mentre scivolava per il pendio ghiacciato; ha cercato di fermarlo a costo della sua stessa vita ma non c'è riuscito. È un luogo comune affermare, di fronte alle irrimediabili avversità della vita, che sono sempre i migliori che se ne vanno. Nel caso di Antonio non si tratta di uno stereotipo. Era veramente il migliore di noi e della somma delle bontà che ciascuno di noi potrà vantare nel giorno della resa dei conti. La sua vocazione naturale era quella dell'altruismo vissuto senza infingimenti e ipocrisia. Donava tutto se stesso agli altri e per gli altri. Amava la montagna- che non anteponeva mai all'amore per la famiglia e suoi cari- perché gli consentiva di vivere la sua religiosità in maniera del tutto personale, fuori dagli schemi tradizionalisti, ma non meno intensa e partecipata. Sulle vette della Maiella, Morrone, Velino e Gran Sasso abbracciava la croce in ferro e rimaneva così stretto al Padre per lunghi minuti incurante dei possibili agnosticismi che potevano circondarlo su montagne oggi così frequentate. Sulle vette, diceva, le distanze con il cielo si accorciano. Marco e Silvia hanno scritto sul suo profilo facebook che adesso, però, è volato troppo in alto. Mancherà a tutti quest'uomo che il suo altruismo ha portato, nella notte del terremoto dell'Aquila, a strappare dalla morte una suora rimasta sotto le macerie del convento di San Gregorio. Ha scavato con le mani, le sue grandi mani a forma di pala, ha spostato massi, piegato ferri e spalato calcinacci per sottrarla al destino riservato ad altre centinaia di persone. Mancherà la sua umanità a tutti quelli che ha soccorso come volontario della Croce Rossa sfidando bufere di neve, vento, pioggia e intemperie d'ogni genere. Mancherà alla sua famiglia, ai suoi figli, ai fratelli, ai nipoti e alla moglie Anna Lisa, ad un tempo amore maestra e mentore. A lei che lo ha reso "utile" al prossimo avvicinandolo al mondo del volontariato, dopo aver scoperto che della sua bontà ce n'era per tutti. Mancherà ai volontari della Croce Rossa che lo tenevano in palmo di mano. Mancherà agli amici della sezione del Club Alpino di Sulmona a cui era iscritto. Mancherà al suo rifugio, ristrutturato insieme ai fratelli, sul monte Giano, sopra l'abitato di Antrodoco, che per lui era diventato il luogo della venerazione degli antenati: dentro la sua bara, insieme alle foto dei suoi nipotini, Antonio si è portato anche quella del suo rifugio. Infine, mancherà a noi, a me e, probabilmente, mancherà anche a quella montagna che ha così amato e che, ingrata, se l'è portato via. Stefano Pallotta (presidente Ordine dei giornalisti d’Abruzzo)

- da Il Centro -


 



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