Collebrincioni guarda al futuro Un paese che riparte dai simboli del passato

A Collebrincioni tutto comincia dal circolo Arci alle porte del paese, tavoli e bancone a creare un primo avamposto per residenti e non. Fuori il campo da calcetto in erba sintetica, dove si gioca anche quando la temperatura è sottozero perché da queste parti – per dirla con un proverbio locale – il meteo registra undici mesi di freddo e uno di fresco. Dietro al bancone c’è Gianfranco Nanni, uno dei più attivi in paese. Il suo è volontariato puro, perché questo circolo Arci è come una banca del tempo a disposizione della comunità. Con lui ci sono anche Francesco Galli, amministratore dei beni separati e Osvaldo De Simone. Poco dopo, nel locale, entra anche Massimo De Simone, originario di qui, ma residente a Monticchio. «Il nostro paese», spiega, «non è certo dei più danneggiati. Ma una frazione di 300 persone di poco fuori dal centro storico rischia di finire nel dimenticatoio». Di fatto, il paese è diviso in due: da una parte il borgo antico - parzialmente disabitato dopo il sisma del 6 aprile - e il villaggio dei Map che ospita gran parte della comunità locale. Dall’altra il Progetto Case: tre palazzine per 72 appartamenti con circa 200 residenti. Un insediamento, quest’ultimo, che rischia di diventare un quartiere dormitorio, con tante famiglie che si ritrovano a vivere qui pur non avendo scelto la frazione come principale residenza. «Se ci pensi», spiega Nanni, «non è proprio un dramma: per raggiungere il centro dell’Aquila ci si impiega meno da qui che da Pettino. Certo, quando nevica è tutta un’altra cosa, però...». «PAESE LIBERO». Altro segno distintivo alle porte del paese, se qualcuno non avesse pensato bene di rubarlo qualche tempo fa, il cartello con scritto «paese libero» in omaggio a un’area geografica mai conquistata. Il nucleo originario risale all’Alto Medioevo, con la Pieve di San Silvestro. Il primo insediamento abitato si pensa fosse situato nella conca della Retonna ai piedi del Monte Verdone, a Sud-Est dell’odierno abitato, dove sono stati trovati resti di un centro fortificato con intorno una serie sparsa di casette ormai ridotte a cumuli di pietre. Dopo la fondazione dell’Aquila, a ogni borgo del contado veniva assegnato in proporzione alla propria ricchezza e al numero degli abitanti, un lotto da edificare entro le mura della città. Anche gli abitanti di Collebrincioni edificarono delle case, una piazza, la chiesa di San Silvestro (patrono del paese), il palazzo signorile dei Branconio e la porta nelle mura che univa alla campagna. Proprio da questa ricca famiglia viene parte del nome del paese che fu parzialmente danneggiato anche dal terremoto del 1703. A seguito di quell’evento sismico si decise di ricostruire il nuovo paese in una zona diversa, non molto lontana dall’antico borgo. Il paese fu collocato tra due alture vicine, con in mezzo un avvallamento dove fu eretta la nuova chiesa con la piazza. Quella stessa piazza dove invece ha riaperto, grazie al meccanismo delle agibilità parziali, il supermercato «Da Serenella». Per riaprire i battenti della chiesa c’è ancora tempo. Intanto, però, in paese sono state costruite due strutture in legno, grazie all’impegno delle comunità di Bettola, Farini, Ferriere e Ponte dell’Olio, comuni del Piacentino. «Ci hanno donato la struttura», rimarca Nanni, «ma tutto il lavoro di rifinitura lo abbiamo portato avanti noi. Solo così abbiamo un punto di riferimento per le celebrazioni liturgiche». Non ha bisogno di ulteriori interventi, invece, l’antica fontana che si trova dall’altro lato del paese, ai piedi del Gran Sasso, in un’area che è inclusa all’interno dei confini del Parco nazionale. Il resto del paese, invece, non ne fa parte. Per il recupero del centro storico, si parla di una spesa di 20 milioni di euro. VERSO SAN GIACOMO. Intanto è polemica sulla viabilità, in relazione alla realizzazione di una variante le cui istanze sono contese tra Collebrincioni e San Giacomo. Perché parte del traffico viario di questa zona è legato a una cava che si trova a metà strada tra le due frazioni. L’ultimo consiglio comunale ha votato la realizzazione di una viabilità alternativa, a monte di quella attuale, dopo una battaglia durata anni da parte della popolazione di San Giacomo. È stato anche siglato un accordo di programma, con la definizione di competenze e aspetti tecnici ed economici dell’opera. Tuttavia la situazione è ancora in fase di stallo e i lavori non sono mai iniziati. Un intervento che, tra l’altro, non appare molto gradito dagli abitanti di Collebrincioni. «Qui stanno solo spostando il problema», spiega Osvaldo De Simone, «con una nuova strada che decongestiona il traffico nella zona Est del capoluogo, ma che rende molto più difficile la situazione dalle parti nostre». Da questo vivace dibattito è nato un comitato a difesa degli interessi di Collebrincioni e San Francesco. Anche la frazione di San Giacomo ha subìto dei danni, tali da rendere inagibile la chiesa parrocchiale, così come varie abitazioni della zona. Qui c’è chi rifiuta l’etichetta di «frazione». Di fatto, come ha più volte ricordato il consigliere comunale del Partito democratico Sergio Ianni, si tratta di «un quartiere vero e proprio», come ha spiegato più volte. «Quartiere, come lo sono Gignano, San Francesco, Pettino, Cansatessa, tanto che negli uffici comunali non vi è alcuna documentazione che definisce il territorio e l’abitato di San Giacomo frazione». Senza dubbio, quest’area porta avanti la coscienza di una piccola comunità che si riconosce in tanti simboli del presente e del passato. La spinta della ricostruzione parte anche da un’identità condivisa.

- da Il Centro -



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