"COLPA NOSTRA" Editoriale di Raniero Pizzi

E alla fine, quello che molti prevedevano si è puntualmente avverato. A forza di parlar male dell’Aquila e degli aquilani, dopo aver criticato tutto, adesso il terremoto dell'Aquila è diventato “esempio da non imitare”.
Oggi, a un anno di distanza dal terremoto dell'Emilia, molti articolisti si lanciano in avventate analisi sulle differenze tra quel che è successo all'Aquila e quel che sta accadendo lassù.
Nel fare questi articoli, che spesso cadono nel pressapochismo e nella superficialità, una frase sembra ricorrente: “qui non si è fatto come all'Aquila”. Non mi perderò nel rimarcare le differenze, mi chiedo invece perché L'Aquila abbia assunto una connotazione tanto negativa. Di chi è la colpa? La risposta è semplicissima, brutalmente facile. La colpa è tutta nostra, amici miei.
Vediamo se riesco a spiegarmi. Chissà, magari nelle prime fasi dell'emergenza, in mezzo alla confusione di 100.000 sfollati, qualcuno che non aveva diritto è riuscito a prendere il contributo di autonoma
sistemazione. Però è bastato mettere tutti i beneficiari nello stesso database per evidenziare le situazioni anomale e chiamare a restituire le cifre indebitamente percepite.
Alla fin fine, quanti sono i casi? Un centinaio su 100000 sfollati, più 360 casi di doppio contributo su cui c’è un contenzioso... C'è chi ha preso a picconate il bagno per farselo riparare dallo Stato, quante volte lo abbiamo sentito dire? Ma quando sarebbe accaduto tutto questo? All'Aquila tutti ricordiamo che a poche ore di distanza dal sisma, con le squadre di soccorso al lavoro ovunque, sono arrivati i militari che hanno cacciato la popolazione civile. Tutti via.Tutto blindato. Militarizzato, hanno detto. E per rientrare a casa gli aquilani hanno dovuto aspettare settimane, e mai sono entrati senza essere accompagnati dai Vigili del Fuoco. Che qualcuno in queste condizioni possa aver preso a martellate il proprio bagno può essere avvenuto, non dico di no. Qualcuno ci sarà anche riuscito, contando nella miopia di tecnici arrivati a controllare i danni e a fare le prime schede, ed evidentemente incapaci di riconoscere un terremoto da una picconata. Ma se davvero qualcuno ha preso il bagno a picconate, come è possibile che questo sia avvenuto all’Aquila, militarizzata per mesi? Abbiamo rubato con i progetti. Noi? Ma come, i progettisti sono diventati verdi di rabbia nel litigare con la filiera, un meccanismo infernale di controlli triplicati, in cui i controllanti si celavano dietro a un codice, e a rubare siamo stati noi che con quel sistema ci abbiamo litigato per mesi?  Abbiamo rubato con le macerie. Davvero? Ci hanno costretti a vagliarle come se fossero rifiuti urbani, con gli addetti dell'Asm piegati in due a dividere gli stracci dalle buste di plastica, il legno dai mattoni, le pietre dal ferro. Raspando raspando abbiamo rimosso più di mezzo milione di tonnellate di macerie, e invece di fare un monumento a quelle persone che si sono massacrate nella polvere, ci dite che siamo delinquenti? Ma qui ci sono le infiltrazioni mafiose. Dite? Non dico che non ci abbiano provato, però è anche vero che siamo il territorio più controllato d'Italia, con la distrettuale antimafia, la prefettura, gli ispettorati che sono sempre lì a spulciare in ogni singolo cantiere. E poi, vorrei anche ricordare che i primi a parlare della necessità di controlli approfonditi sono proprio i terremotati, consapevoli che in caso di ditte non sicure la casa la rivedono col lanternino. Vagliando quindi una alla volta le mille dicerie che hanno infarcito il dopo terremoto, ci si accorge che sono applicabili solo a una sparuta minoranza di aquilani. E allora, perché da gente di grande dignità ci ritroviamo trasformati in delinquenti? La colpa è nostra, che non siamo riusciti a difendere noi stessi dalle troppe chiacchiere che si leva-
vano su questo maledetto terremoto. Colpa nostra che, litigando fra
di noi su tutto, abbiamo amplificando ogni cosa negativa, anche piccola. Perché ci siamo urlati fino allo sfinimento che era tutto sbagliato, che eravamo troppo accondiscendenti, che non dovevamo fare la rivoluzione o che sbagliavamo a non farla, la rivoluzione. Colpa nostra perché abbiamo permesso che ogni schieramento politico usasse le macerie dell’Aquila come campo di battaglia. Abbiamo permesso che persone che la sera prima stavano a mille chilometri di distanza e che per sapere dove accidenti stava
L’Aquila dovevano andarla a cercare su internet, venissero a criticarci. E noi sempre zitti, mai una parola, non ci siamo mai alzati in piedi per replicare a chi portava sterili critiche o a fare i propri interessi.
Anzi, abbiamo pure applaudito.


 



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