SAN LORENZO DI BEFFI, POCO INTERESSE PER UN BORGO NOBILE OGGI DIMENTICATO

- di Francesco Di Giandomenico e Roberto Santilli -

SAN LORENZO DI BEFFI - Il terremoto del 6 aprile del 2009 ha quasi definitivamente addormentato uno dei borghi più belli dell’Aquilano, quello di San Lorenzo di Beffi, frazione di Acciano (L’Aquila), piena Valle Subequana.

Basta osservare in silenzio la chiesa, completamente abbandonata e tenuta in piedi da puntellamenti allo stremo (pochissimi e posti all’esterno), della piccola frazione ai piedi del monte Sirente, incastrato in una vallata da mozzare il fiato insieme ad altri bellissimi borghi che in un modo o nell’altro cercano di risollevarsi dopo ormai cinque anni di post-sisma, magari ripensando l’idea stessa di borgo, di paesino, per evitare che lo spopolamento li faccia fuori una volta per sempre.

I pochi abitanti di San Lorenzo, fino a non molti anni fa molto popolato nelle stagioni meno clementi e  meta estiva di tanta gente tra parentadi vari trapiantati nelle grandi città come Roma, più i soliti, semplici amici e amici degli amici (nei paraggi, tolto Acciano con la sua amministrazione a troneggiare sulle frazioni, si tiene in piedi soltanto Succiano, che compone un'unica parrocchia insieme a San Lorenzo assegnata a Don Marek Antoni Gmitrzuk e che grazie alla pluridecennale sagra degli arrosticini e a una bella gioventù riesce a far rifiatare anziani e meno giovani, continuano a godersi la beata solitudine che ha fatto la fortuna loro e del posto, ma il quadro, è fuor di dubbio, ha tratti meno felici di un tempo.

A mantenere vivo il tutto, la celebre Locanda ‘La Corte’, con albergo e piscina, costruito sulla vecchia struttura di palazzo Lattanzi.

Ciò che più impressiona, al di là dell’immobilismo quasi ‘canceroso’ che attanaglia il piccolo borgo di San Lorenzo, è la lentezza ormai insostenibile verso il recupero completo di una chiesa, gravemente danneggiata dal terremoto, che nella storia, anche in quella più recente, ha avuto un ruolo fondamentale per la vita sociale del paesino e anche di quello dei dintorni, ‘aprendo’, attraverso l’impegno degli abitanti, ad altre attività e ‘capitoli’, vedi festa del santo patrono con annesse feste di piazza, tornei di calcetto, manifestazioni culturali di vario genere, sempre stracolmi di gente.

I lavori di recupero, restauro e ristrutturazione infatti partiranno soltanto nel 2017, sempre che la burocrazia non abbia in serbo qualche sgradevole sorpresa. Altri quattro anni prima di veder cominciare un percorso che, umanamente, avrebbe già dovuto essere messo in piedi.

Perché il dramma dei borghi a rischio spopolamento può essere eliminato se si dà l’opportunità a chi in quei borghi vive o ‘staziona’ di poter usufruire di luoghi, siano essi laici o religiosi, che rendono unita una comunità o che, è il caso di San Lorenzo di Beffi, la mettono in salvo e forse l’aiutano a ricomporsi e a svilupparsi nuovamente.

Senza nulla togliere alla bellissima chiesa di Succiano, la chiesa di San Giovanni, ‘etichettata’ “di interesse importante” dalla direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici pur essendo molto meno antica, per quanto riguarda la struttura attuale, rispetto a San Lorenzo: la prima, anch’essa gravemente danneggiata dal sisma, è del 1922, la seconda è della fine del 1600. Nessuna guerra tra santi, ma qualcosa non torna.

La verità è come sempre molto semplice e le soluzioni pure: da queste parti dovrebbero affacciarsi più spesso e in modo più sostanzioso i rappresentanti della Curia e del Comune di Acciano, quest'ultimo comunque capace di deliberare in Consiglio lo stanziamento di 11 milioni di euro.

L’ex arcivescovo metropolita dell’Arcidiocesi dell’Aquila, monsignor Giuseppe Molinari, è passato nel 2011 con un classico ‘mordi e fuggi’ (in seguito alla sua ultima visita pastorale), nonostante abbia mostrato interesse più di una volta nei confronti di una vallata che annovera alcune delle tappe del Fuoco del Morrone (la fiaccola di Papa Celestino V che dal Morrone arriva fino alla Basilica di Collemaggio dell’Aquila in occasione della Perdonanza Celestiniana).

Anche colui che di Molinari ha preso il posto, monsignor Giuseppe Petrocchi, impegnato in un’epoca storica molto difficile e col patrimonio artistico-religioso del cratere sismico ancora in ginocchio, è passato, anche se velocemente, per questa Valle recandosi a Rocca Preturo, la cui chiesa parrocchiale è stata appena ristrutturata.

Stessa musica per le altre istituzioni, riguardo sempre al San Lorenzo dimenticato, l’unico borgo del Comune rimasto ancora ‘a carissimo amico’ in materia di ricostruzione.

Anni addietro San Lorenzo, come gli altri borghi, era conosciuto e frequentato da chi faceva politica a ottimi livelli. Nessun occhio di riguardo, solo normale amministrazione e interesse per dei luoghi su cui spesso si è parlato in termini di turismo, senza mai sbloccare alcunché.

A testimoniare lo stato polveroso delle cose dunque c’è questa importantissima chiesa parrocchiale, nominata per la prima volta in un documento ufficiale da Papa Bonifacio VIII datato al 1295 (sotto il nome di chiesa del Beato Lorenzo delle Valli), con cui il Pontefice concesse alcune indulgenze relativamente al giorno della dedicazione della chiesa stessa, oltre che di altre festività religiose.

Nonostante che in alcuni documenti ottocenteschi si legga che la chiesa è la più antica della Provincia, essendo anche prepositura, collegiata e parrocchiale ab immemorabili, la struttura attuale è databile al periodo tardoseicentesco ed è composta di tre navate.

Essa comprende sette altari, ognuno dei quali era anticamente dedicato al santo protettore di una famiglia nobile del posto (ad esempio San Girolamo per i Cercarelli e San Giuseppe per i Lattanzi di San Lorenzo, Sant’Erasmo per i Giuliani di Succiano); oltre a questi altari, troviamo quello dedicato alla Madonna del Rosario, alla Natività e alla Risurrezione.

Il settimo altare, ossia quello maggiore, in cui si trova il presbiterio coperto da una cupoletta neoclassica caratteristica, prima del sisma era coronato da un maestoso quadro di San Lorenzo in gloria con gli angeli. Sotto l’altare maggiore erano collocati delle piccole cassette di legno in cui erano fedelmente conservate alcune ossa dei Santi Martiri; sul retro dello stesso altare, vi è tuttora un grazioso coro in noce che rischia di deteriorarsi col tempo.

Ponendosi di spalle all’altare maggiore, sulla destra vi è l’accesso a quello che veniva innocentemente definito ju camp’ sant’ (il cimitero) dagli anziani del posto, ora denominata catacomba del IV secolo d. C., avente un’estensione pressoché di venti metri con due corridoi laterali che danno accesso ad altre stanze. Probabilmente, a detta del professor Vincenzo Fiocchi Nicolai, operatore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra di Roma che circa tre anni fa per primo dopo quasi un millennio di storia ha fatto un vero e proprio rilievo sulla catacomba, ha ipotizzato che la stessa abbia un piano inferiore il cui accesso è dato dalla presenza di alcune scale presenti alla fine di uno dei due corridoi citati.

Negli anni ottanta, alcuni vecchi del luogo provarono a scavare di più, ma purtroppo il tempo di permanenza nella catacomba era troppo poco per la scarsità di ossigeno. Inoltre lo stesso Nicolai ha dichiarato che “si potrebbe intervenire sulla catacomba se soltanto si puntellasse, creando una specie di corridoio, la parte che dà accesso alla chiesa e quindi alla catacomba”.

Scendendo i due scalini del presbiterio, in una colonna laterale è ancora presente un pulpito squadrato di legno da cui il sacerdote, fino a qualche anno fa, predicava la parola di Dio.

Entrando dalla porta laterale, si trova sulla destra uno stanzino in cui era deposto un Cristo Morto quattrocentesco molto prezioso e utilizzato dai fedeli di Succiano e di San Lorenzo per la solenne processione del Venerdì Santo; sulla sinistra invece vi è un semplice fonte battesimale di pietra incavata.

Di rimpetto all’altare maggiore, sopra il portone principale, si erige un maestoso organo costruito da un mastro organista professionista, Domenico Antonio Fedeli, nel 1761 e ristrutturato poco più di cinque anni fa.

Sulla destra del portone principale, sempre un portale tipicamente neoclassico, si accede ad una piccola stanza dove un tempo si riuniva la Confraternita della Madonna del Rosario; qui vi è anche l’accesso all’organo tramite delle strette scale di pietra, sulla cui parete si trovano alcuni affreschi risalenti al tardo Medioevo: si presume che questa sia la parte più antica della Chiesa, risalente appunto a tale periodo e successivamente ampliata.

Nonostante gran parte del patrimonio parrocchiale sia stato rubato in tempi recenti, le rimanenti suppellettili della chiesa, prima del sisma custodite gelosamente dai parrocchiani, sono state momentaneamente sistemate in altre sedi per ragioni di sicurezza.



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