PAGANICA E L’ALLUVIONE DIMENTICATA

di Raffaele Alloggia * Sono nelle cronache dei media di questi giorni i fatti relativi agli allagamenti e alle esondazioni dei fiumi in diverse aree del nostro Paese, con gravi lutti, enormi danni alle attività economiche in particolare a quelle agricole e al patrimonio edilizio. Per far sì che non si dimentichi ciò che accadde nel secolo scorso a Paganica, vi rappresento ciò che mi raccontò il mitico barbiere Augusto Rossi, in un pomeriggio uggioso di novembre davanti al fuoco del camino della sua casa (Augusto è morto qualche anno fa alla veneranda età di 103 anni). Era il mese di agosto del 1924 e Augusto diciassettenne, con i membri della sua famiglia, di buon’ora, si era recato a lavorare nei campi in località “sette vasche”, sita ad est di Paganica. Improvvisamente uno di quegli acquazzoni estivi, oggi definiti “bombe d’acqua” si riversò su tutta la fascia pedemontana del Gran Sasso Aquilano. Si rifugiarono in una capanna in pietra, (tholos) a solo un centinaio di metri dal loro campo. Nel tholos trovarono altri contadini anche loro bagnati fradici. La pioggia copiosa non cessava e nella lunga attesa videro che i terreni nei pressi del rifugio nonostante fossero coltivati, non trattenevano più la tanta acqua caduta e si formavano rivoli che portavano con sé anche il terriccio. Nel tardo pomeriggio, dopo ore rimasti prigionieri nel riparo, con le nuvole nel cielo ancora minacciose e ansiosi per il suono incessante delle “campane a fuoco”, si riavviarono verso il paese. Arrivati in prossimità della località chiamata “Sant’Andrea”, ma dal barbiere detta “Piemara”, si presentò davanti ai loro occhi una vista apocalittica! Non più sentieri di campagna, né campi coltivati, i numerosi appezzamenti di vigneti ricoperti di pietrisco: ne rimasero testimoni solo alcune punte dei pali di sostegno! Qualche centinaio di metri più giù, il muro di cinta del Convento dei Frati Francescani, oggi Suore Clarisse, fu abbattuto in più punti dalla furia delle acque, ricoprendo il tutto di fango. La corsa della piena non si arrestò neanche davanti all’ostacolo della ferrovia e in prossimità della stazione ferroviaria di Paganica provocò un varco sotto i binari per poi defluire al fiume Aterno, lasciando dietro di sé, la distruzione di tutte le coltivazioni. La grande quantità d’acqua e terriccio che provocò tutto ciò, proveniva da due grossi canaloni, il primo raccoglie le acque di una vasta area montagnosa circostante Pescomaggiore dove la parte terminale viene chiamato “Fosso San Pietro” e l’altro che abbraccia un’altra vasta zona montagnosa sottostante Filetto, chiamato “Vallone del Duca”. I due raccoglitori in caso di piena, si congiungono appunto, in località Sant’Andrea provocando così quanto detto. Augusto, una volta arrivato in paese, sentì dire che il torrente Raiale aveva tracimato all’altezza di Piazza Regina Margherita allagando così le abitazioni circostanti e quelle di Piazza Umberto I, dove il nonno aveva la bottega da barbiere. Senza neanche cambiarsi, di corsa si precipitò per verificare se la bottega del nonno avesse avuto danni e così poté vedere con i propri occhi da Ponte Grande, allora in legno, le acque – ormai rientrate nell’alveo del torrente – ancora torbide e tumultuose. Il torrente raccoglieva le acque provenienti dal Vasto passando per Assergi e poi Camarda. Con sé aveva trascinato di tutto. Oggi nell’alveo del torrente, fino alle porte del paese, ci sono alberi di ogni dimensione, che a fronte di evento come quello raccontato da Augusto, impedirebbero il regolare deflusso delle acque, facendolo tracimare e arrecando così danni, principalmente al patrimonio edilizio. *cultore di storia locale

 



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