Sergio Basti: «Quella notte scoppiò l’inferno»

 Dalla sua casa di via Strinella alzò lo sguardo verso il centro storico e la prima cosa che vide fu una foschia che si alzava dalla città. Non era nebbia, nemmeno fumo. Era la città che si sbriciolava dopo la scossa delle 3,32. Il primo pensiero del comandante regionale dei vigili del fuoco Sergio Basti, allora direttore nazionale dell’emergenza, incarico ministeriale che lo portava a stare tutta la settimana al Viminale, fu: «Dell’Aquila non è rimasto nulla». Basti, nel giorno del quinto anniversario del sisma, non sarà più il comandante regionale. Per lui, dal primo aprile, scatta la pensione e forse arriverà il momento di scrivere «il libro che ciascuno di noi dovrebbe scrivere, perché ogni aquilano ha una storia da raccontare sulla notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009». Impossibile dimenticare l’annus horribilis d’Italia, quando dopo L’Aquila ci furono anche Viareggio, Giampilieri, Messina. Dottor Basti, lei si trovò all’Aquila quasi per caso la notte del sisma. Un destino? «Sono originario di Ortona ma vivo all’Aquila dal 1969, quando mi trasferii per studiare. Da allora la mia vita è qui, dove ho incontrato la ragazza che poi ho sposato. Se la scossa ci fosse stata quattro ore più tardi non sarei stato all’Aquila, ma a Roma, dove lavoravo. Mi sono trovato invece coinvolto nel sisma come cittadino e poi come soccorritore speciale. Assodato che la mia famiglia stava bene, andai al comando senza pensare nemmeno a come ero vestito. Per molti giorni non riuscii ad ascoltare un telegiornale o a leggere un giornale. Avevo momenti di sconforto quando venivo a conoscenza di amici morti sotto le macerie». Lei capì subito che qualcosa di veramente drammatico era successo. «Cominciai a sentire il sapore della polvere sulle labbra mentre arrivava l’inconfondibile odore di gas. La città era distrutta. Cominciai a girare con il mio collaboratore Gianluca Gennaioli. Per strada c’era un caos infernale: macchine bloccate, gente che gridava. Ho gestito le prime ore dell’emergenza con il solo cellulare. Dovevamo cercare di capire la dimensione del fenomeno e nello stesso tempo tirare fuori le persone dalle macerie. Noi parliamo sempre dei morti, ma salvammo dai crolli 102 persone. Ci avviammo verso la Casa dello Studente, ma ricordo che all’incrocio con via Roma trovammo tante persone sanguinanti e appollaiate sotto un’abitazione. Incontrai il consigliere Corrado Ruggeri, disperato. Mi disse che non riusciva a contattare il fratello che abitava a piazza San Pietro. Cercammo di imboccare via Roma, ma fummo bloccati da un fabbricato crollato che ostruiva fino al primo piano la strada. C’erano persone in preda alla disperazione e altre che scavavano a mani nude». Lei si accorse anche che c’era qualcosa di strano sull’asse viario dell’autostrada … «Passando dal casello dell’Aquila Est a quello dell’Aquila Ovest ci accorgemmo che le linee di mezzeria tra le campate non erano continue e facevano un piccolo salto: i punti d’appoggio si erano rotti ed erano stati in parte espulsi a causa della scossa. L’autostrada restò chiusa per qualche giorno a tutti i mezzi tranne a quelli di soccorso». Come ha gestito una simile emergenza? «Chiamai subito il centro operativo dei vigili del fuoco facendo attivare le colonne mobili della Protezione civile di tutta l’Italia centrale; quando mi resi conto della dimensione della tragedia, attivai anche tutto il resto d’Italia. La bravura sta nel tempo che impieghi nel fare il soccorso e noi non abbiamo perso tempo. Nel giro di 48 ore dal sisma all’Aquila c’erano già 2500 persone e 1500 mezzi: il massimo espresso fino a oggi. I vigili del fuoco sono diventati gli angeli del terremoto. La missione del Corpo è di tutelare l’incolumità delle persone. Cominciò la fase della messa in sicurezza e nello stesso tempo dell’assistenza alle persone che dovevano recuperare i loro effetti personali nelle case inagibili lasciate in fretta». Che ricordo ha dei funerali? «Una scena da brivido, con le bare sistemate a terra, le bandiere italiane, il capo dello Stato e tutte le autorità, il silenzio rotto dal pianto dei familiari delle vittime. Qualcuno disse: “Ma il Venerdì Santo non si possono tenere funerali”. Non si poteva più aspettare, anche se finimmo di cercare i dispersi il lunedì successivo». Fu gestita bene, secondo lei, la fase dell’emergenza? «La prima fase dell’emergenza venne gestita bene. Poi ci sono stati i giudizi negativi della gente e se qualcuno ha sbagliato pagherà. Ma poche settimane dopo il sisma ricordo diversi gruppi lamentarsi per la chiusura del centro storico, la cosiddetta zona rossa, con un’ordinanza del sindaco. Mi fecero rabbia: non c’era la percezione del reale pericolo che si correva». Cosa le è rimasto di questi anni post-sisma? «Un coinvolgimento molto forte. Avevo la percezione di essere estraneo a quel mondo, come se fossi sospeso nell’aria e quello che mi circondava fosse un film. Era tutto assurdo e avvenuto così di colpo che pur facendo questo mestiere non sapevi dove mettere le mani. Giudicare col senno di poi e fare riflessioni a bocce ferme è sempre facile».
- da Il Centro -



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