ASSERGI E PIAZZA DEL CAMPO…

- di Lorenzo Giusti - Piazza del Campo a Siena è una delle più belle piazze medioevali d’Italia, famosa anche per il Palio che si corre due volte l’anno. Molti giustamente si chiederanno cosa possa legare questo luogo ad Assergi: l’accostamento potrebbe sembrare irriverente anche se la piazza del proprio paese è sempre la più bella.
In realtà si tratta solo di una scherzosa ed occasionale ridenominazione della nostra piazza che scaturisce dai ricordi ad essa legati.
La centralità della piazza nella vita del paese è oggi strettamente legata alle funzioni religiose ed alla presenza della Chiesa, presenza certo importante per preziosità architettonica e valenza spirituale.
Tuttavia noi ricordiamo anche un’altra maniera, più terrena, di vivere la piazza.
Essa costituiva infatti l’unico spazio aperto di grandi dimensione esistente all’interno del paese ed è quindi logico che quando eravamo bambini o ragazzi diventasse un luogo di corse sfrenate, di sudate fuoribonde, insomma un campo di calcio.
In tal modo la piazza manteneva la funzione essenziale di essere un punto d’incontro e di ritrovo almeno per i giovani, essendo invece “U Poste nna' Porta” il luogo storico di ritrovo per gli adulti.
Bastava del resto aggiungere un po’ di fantasia alla sua configurazione planimetrica per farla diventare un campo di calcio ed oggi passandoci, quel campo lo rivedo ancora.
La base del campanile era al posto giusto e con le dimensioni giuste per essere una delle porte, l’altra essendo ricavata dal lato opposto tra un sasso ed un angolo di casa, mentre la cunetta centrale era un’ideale linea di metà campo.
Una conta veloce per fare le squadre e via, cominciavano interminabili partite con Giulio, Enzo, Elio, Ascenzo, Luigino, Berardino (ross e picchele), Franchino Sabatini e i suoi funambolici dribblings, Franchino Scarcia e le sue rabbiose rincorse, Mimino e tutti gli altri che ricorderanno quei momenti, come Gianni, Dino e Peppino, spesso persi (già da allora) in astrusi discorsi metafisici a centrocampo mentre il pallone girava loro intorno.
Il pallone poteva essere anche qualcosa che vagamente lo ricordasse, grande o piccolo,
gonfio o sgonfio, rotondo o semiovale, “na’ scorcia” che rotolasse per correrci dietro e prenderla a calci.
Finestre, agli “arboretti”, agli oleandri di Serafina, era bello prendere il mondo a pallonate.   
Era anche naturale che tanto irriverente baccano destasse talvolta le benevole ire di Don Demetrio, dei Carabinieri, del bastone di De Luca, ma in fondo anche loro facevano parte del gioco.
Si giocava a tutte le ore del giorno, col sole cocente d’estate o col nevischio d’inverno. Solo nel periodo autunnale si “transumava” verso i prati della valle del Raiale, finchè l’erba poteva essere calpestata.
Allora in verità sognavamo di giocare su un campo vero, ma quando abbiamo potuto farlo ci siamo resi conto che le sensazioni provate in quelle estenuanti partite in piazza sarebbero state irripetibili.
Era come avere uno stadio dentro il paese, la piazza diventava una cosa viva, un cuore pulsante.
Del resto le piazze delle città e dei borghi medioevali erano luoghi associativi per definizione, dove gli uomini si incontravano, commerciavano, predicavano, scambiavano parentele ed alleanze politiche e giocavano anche. Giocarci a pallone costituiva quindi un’inconsapevole sublimazione temporale di questa funzione storica della piazza.
Ed oggi che nessuno, chissà perché, gioca più a pallone nella piazza, essa da’la stessa sensazione di solitudine che si prova quando si entra in uno stadio deserto.
Le voci e le grida che l’animavano rivivono lontane ed indistinte nella memoria di chi le ha vissute, e Piazza del Campo, restituita al silenzio sacrale della sua Chiesa, somiglia ora, da questo particolare punto di vista, più ad una agorà greca o ad un foro romano, bellissima ma anche vuota, troppo vuota.

 

Lorenzo Giusti


 



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