Roio, alla casa di San Franco c’è silenzio e abbandono

 (Da Il Centro) - C’è una foto che risale al primo pomeriggio del 30 agosto del 1980 dove si vedono il Papa, Giovanni Paolo II e il cardinale Carlo Confalonieri inginocchiati e in preghiera davanti alla statua della Madonna di Roio nel santuario che si trova a Roio Poggio. Quest’anno si sarebbe dovuto celebrare il trentennale di quell’evento. Il terremoto del sei aprile del 2009 ha però reso inagibile l’edificio sacro tanto caro non solo ai roiani ma anche agli aquilani.
 E’ passata alla storia dell’Aquila la cerimonia in piazza Duomo, il 15 ottobre 1944, durante la quale l’allora arcivescovo Confalonieri pose una corona d’oro sul capo della statua della Madonna di Roio e un’altra sulla testa del bambino, per sciogliere un voto, fatto anni prima, con il quale il capo della diocesi chiese che la città fosse risparmiata dai bombardamenti e dalla distruzione completa. Quel voto prevedeva anche la realizzazione della via Mariana con la costruzione delle cappelle votive.
 Due giorni fa ho chiesto al parroco di Roio, don Osman, la cortesia di farmi entrare nel santuario. Dopo il terremoto in pochissimi hanno potuto vedere lo stato in cui è ridotto quell’edificio sacro che conservava una statua davanti alla quale si è raccolto in preghiera anche l’attuale pontefice Benedetto XVI che lo ha dovuto fare però all’interno della scuola della Guardia di Finanza durante la sua visita alle zone colpite dal terremoto, il 28 aprile del 2009.
 Ammetto che sono stato colpito da quello che ho trovato. Tutto è rimasto uguale agli attimi che sono seguiti alla scossa del sei aprile. Calcinacci un po’ ovunque, banchi ammucchiati qua e là, pezzi di affreschi sulla volta caduti o fortemente danneggiate. Sull’altare - proprio sotto la nicchia che ospitava la preziosa statua della Madonna (oggi conservata nel museo delle Paludi di Celano) - l’immagine del Cristo morto. Ai lati sono rimasti gli affreschi che raccontano il miracolo del ritrovamento della statua e dell’apparizione della Madonna a un pastore che aveva perso il suo gregge. Roio Poggio oggi non ha più una chiesa. Le “funzioni” del santuario le svolge una tenda che è stata di recente sistemata a «Roio 2», il piano Case che ospita gli sfollati (c’è anche Roio 1 che si trova fra Roio e Pianola a qualche centinaia di metri dal Santuario). Senza chiesa sono rimaste le frazioni di Roio Piano e Santa Rufina e pure in questo caso c’è una tenda a sopperire alle necessità dello spirito.
 Come un anno fa, mi sono fatto accompagnare nei paesi cancellati dal sisma, da Fulgenzio Ciccozzi, che conosce ogni segreto di Roio. Partendo da Roio Poggio siamo andati alla ricerca di quei luoghi che prima del sei aprile erano il posto ideale dove vivere e che invece quella notte sono stati abbandonati in fretta e furia e, dopo 13 mesi, nessuno sa come e quando ci potrà tornare.
 A Roio Piano, il borgo che è nato e si è sviluppato secoli fa anche grazie alla transumanza, tutto parla della storia di uomini, di famiglie, di oggetti.
 La grande Aia appena fuori l’abitato racconta di calde estati a trebbiare il grano. Franco, il padre di Fulgenzio, con un ampio gesto della mano prova a darmi l’idea della grandiosità di quel posto che diventava per settimane il centro della vita e del lavoro della comunità. «Vedi» mi dice «dove c’è quella casa, lì si metteva la trebbia». E mi riferisce un fatto curioso. In mezzo all’Aia ci sono dei pezzi di un container. Prima del sisma dell’aprile 2009 era stato portato a Roio dall’Irpinia (dove era stato utilizzato dopo il terremoto del 1980 per dare un tetto agli sfollati) per diventare un centro di aggregazione. Naturalmente non è stato più assemblato e ora giace lì, a fianco alle macerie. Fulgenzio mi fa vedere via Rocca di Cambio. E’ una strada dritta che attraversa tutto il vecchio borgo di Roio Piano e nella parte finale prende il nome di via Cavour.
 E’ qui che passavano le pecore che da Lucoli «scendevano verso il piano».
 «Per giorni e giorni si vedevano solo greggi» dice Giorgio Totani che incontriamo fra i “mille” vicoli introdotti spesso da archi in pietra e che si intrufolano in posti che sembrano incantati anche se vuoti e senza voci.
 In via Aia Grande c’è quella che secondo la tradizione è la casa di San Franco, l’eremita che visse i suoi anni alle falde del Gran Sasso. Nato fra il 1154 e il 1159 morì in una grotta di Pizzo Cefalone il 4 giugno del 1226 e le sue reliquie sono conservate e venerate nella chiesa di Assergi.
 La casa del Santo la si riconosce solo da due scritte, una più antica e un’altra più recente. Il piccolo edificio è nel degrado più totale e il terremoto ha finito per comprometterne la stabilità. Sulla porticina c’è un foglio di carta protetto da una busta di plastica sul quale si legge: «Roio Piano, un borgo dimenticato e abbandonato da tutti». Basta guardarsi intorno per avere la conferma che quella frase dice, purtroppo, una triste verità.
 Poco più in là c’è via Madonna delle Stelle. Dopo pochi passi il tronco di un vecchio albero appoggiato a un muro sembra un monumento alla solitudine e a un mondo sparito sotto il tremore della terra.
 Si apre uno slargo e appesa a una finestrella c’è una foto con sotto alcune parole. Nella foto si vede una famiglia felice. La scritta è la seguente. «In questa casa di via Madonna delle Stelle hanno vissuto felicemente Silvia, Massimo e Alma. Adesso vivono altrove, ma se il destino vorrà torneranno a Roio Piano che amano tanto portando pure Francesco nato ad agosto del 2009».
 Quella famiglia ora è costretta a vivere a Popoli dove, mi raccontano le mie “guide”, per fortuna si trovava anche quella notte. Era andata via proprio per paura delle scosse. Mi sussurra Giorgio: «Se fossero stati qui...» ma non finisce la frase, è tutto fin troppo chiaro.
 Franco mi fa entrare in quella che è stata casa sua fino al 6 aprile: «Con mia moglie avevamo deciso di dormire nella sala, al piano terra, e da lì siamo scappati». Salgo al piano superiore dove c’erano le camere. Su un letto c’è un mucchio di macerie. Quella notte non c’era nessuno a riposare. Sulle pareti vedo uno strano fenomeno. I cavi elettrici messi sotto traccia sono come strappati. E’ l’immagine della violenza del sisma. Quei cavi hanno ceduto perchè tirati qua e là da quella forza devastante. Andiamo via da Roio Piano percorrendo una strada sterrata realizzata di recente per consentire agli abitanti di tornare nel loro borgo aggirando il blocco provocato dalle macerie. In lontananza si vedono i palazzi del progetto Case, i map costruiti nelle varie frazioni, la nuova scuola. Dietro lasciamo il silenzio e i colori di una valle da sogno.



Condividi

    



Commenta L'Articolo