Il Centro si occupa di noi

Cari assergesi nel mondo,

oggi il quotidiano: "IL CENTRO" si è occupato di Assergi. Pubblichiamo integralmente l'articolo:

 

Due sole docce per 300 persone
 
Il nostro viaggio nelle tendopoli delle promesse non mantenute
 
 
 
I vecchi hanno freddo il cibo è scarso e le tende sono estive
 
ENRICO NARDECCHIA


 L’AQUILA. Una paresi facciale a causa del freddo. Un anziano di Assergi ci è finito in ospedale. Lui, uno sfollato, non ha resistito al freddo intenso ed è stato costretto al ricovero. Ora sta meglio. Diciassettesimo giorno dopo il terremoto. È ancora caccia alle stufette e alla corrente elettrica, alle docce e all’acqua calda. Nelle tendopoli in altura fa un freddo cane. Da Assergi a Filetto, ecco la mappa del disagio.
 TENDE SCOZZESI. Scozzesi le tende, sì, ma anche le docce. L’acqua calda, quassù, è un miraggio. Mancano le tende blu, alla base della funivia del Gran Sasso. Quelle della Protezione civile non sono mai arrivate. Ci sono, in compenso, le tendine marroni del Rotary arrivate tre giorni fa dalla Scozia. Sono adatte, più che altro, a un campeggio estivo. Non a mille metri di altitudine, e per di più, sotto il Gran Sasso. Non c’erano brandine né materassi. Quando sono stati portati, di notte, c’è stato un battibecco. «Stanotte abbiamo sentito un boato e si sono staccate sette slavine dalla cima Wojtyla», racconta un anziano. «Le tende ce le siamo montate da noi. Ce le hanno lasciate qui e tanti saluti. Ma noi non ci spaventiamo: siamo gente di montagna. All’inizio, non bastavano per tutti, tanto che la gente continua a dormire in macchina. Una settimana dopo il terremoto è stato montato un tendone bianco. La roba è arrivata in ritardo. Forse erano convinti che qui non c’erano danni ma noi nelle case non ci possiamo entrare come tutti gli altri. I crolli? Quasi tutti in centro storico».
 LA MOZZARELLA. «Solo una mozzarella di secondo è un po’ poco», dice il giovane Marco Mascioni. «Così come una scatola di tonno con un po’ di formaggio. Comunque l’impegno non manca, da parte di nessuno. Ci rifacciamo con la pasta. Carbonara, amatriciana e sugo con le spuntature di maiale. Le tende, poi, sono troppo leggere. Per gli anziani è freddo. Per la corrente siamo ancora attaccati ai gruppi elettrogeni. Ieri è finito il gasolio e ci siamo dovuti arrangiare». Berardino Sabatini ha fatto l’elettricista per tutto il campo. «La cucina che ci era stata promessa dal primo giorno ancora la dobbiamo vedere. Più o meno adesso siamo tutti sistemati ma io dormo in macchina. In tenda non ce la faccio». Capo campo è Luigi Faccia, consigliere comunale. «Ci siamo adattati. Abbiamo capito che le forze maggiori servivano all’Aquila. Passate le notti in macchina, poi sono arrivate le tendine. Quindi siamo diventati un campo di priorità alta e finalmente qualcuno si è interessato a noi. Sono arrivati una montagna di soccorsi ma si dovevano organizzare meglio. Le migliaia di volontari stanno facendo bene ma noi siamo in autogestione a partire dal cibo. I pasti, infatti, arrivavano da Paganica ma quando ce li hanno portati alle tre e mezza abbiamo detto stop. Ora accettiamo solo il secondo. Il primo ce lo facciamo da noi: 250-300 pasti, anche se nelle tende siamo 150. Vengono pure i dipendenti del laboratorio di fisica nucleare». Il cuoco Dario Del Signore si è messo a disposizione. Ha tirato fuori 200 sedie di plastica, ha svuotato le cucine dell’albergo e ha messo tutto in comune. Poi sono arrivati il Comune di Barletta e quello di Ari, il paese della memoria, in testa il sindaco Renato D’Alessandro, con tir di alimenti e pacchi di pannolini. Il cuoco, intanto, ha comperato una casetta di legno. «Mi è costata 5600 euro, 30 metri quadrati, senza fondamenta e impianti perché li faccio da me».
 MILLE PASTI. Sali a Filetto (1070 metri) e nel paese dei 17 martiri della strage nazifascista del 7 giugno 1944 trovi una cucina da campo da fare spavento: può sfornare 1000 pasti l’ora. Solo che qui gli ospiti censiti non arrivano neppure a 300 e sono dislocati in quattro campi. In compenso ci sono due-docce-due: 150 persone in una e 150 nell’altra. Un po’ poco. Oggi si mangia risotto con zucchine, tonno e peperoni, arrosto e dolce. All’inizio la cucina l’ha messa a disposizione il centro sociale anziani «che in 20 anni ha speso 150mila euro in opere per il paese», come ricorda Giovanni Altobelli. Filetto ha triplicato la popolazione: 120 residenti, ora sono in 350. Tanti avevano la casa a Pettino e adesso sono tornati qui. Dove i danni, forse, sono meno gravi. «Siamo solidali con gli amici di Onna», spiega Giampiero Orsatti. «Stavolta la natura ha voluto risparmiare Filetto. Tuttavia, bisogna dire che nessuno, vescovo compreso, ha detto una parola contro i costruttori».



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