LE ORIGINI SOCIALI DELLO SPORT (E DEL CALCIO) AQUILANO

- di Enrico Cavalli - La contestualizzazione delle origini sportive nell’area di nostro specifico interesse, non può che risalire alle attività ludico-motorie della conurbazione medievale  aquilana, rappresentative di un vitalismo civico ben oltre le fasi di decadenza dovuta a fattori politici e naturali dei secoli XIV e XV. Ci si riferisce alle istruzioni negli Statuti delle arti municipali circa le gare campestri, lottatorie ed equestri, queste ultime in voga nella area subecquana, per i palii celebrativi di papa CelestinoV e San Bernardino Da Siena e stessi divieti presso i luoghi religiosi di gioco con la “palla grossa” e i cui interpreti furono le nobiltà dei principi napoletani Le scalate nel 1542 sul Gran Sasso del generale felsineo De Marchi e l’aquilano Tuccaro codificatore degli esercizi ginnici alle corti rinascimentali, preludono alla vicenda sportiva aquilana. Il‘600 del fiscalismo ispanico e banditismo limitava le estravaganze dei ceti popolari traumatizzati, eppure, dopo il grande sisma del 1703, si pensa alla dislocazione di pratiche ludiche, in specie della francese ed evocativa “pallacorda” al Campo Di Fossa in base alla restaurazione urbanistica del 1826.
La tradizione ludico sportiva aquilana, è rinverdita dalle classi liberali fra ‘800 e’900 con l’internazionalismo del CAI e gli sport ciclistici ed automobilistici di contorno alle manovre militari del 1893 e alla piccola olimpiade della expo del capoluogo abruzzese nel 1903. Le stesse partizioni socialiste e religiose pongono i vessilli nelle discipline popolari, ma, ju footteballa afferisce alla mobilitazione studentesca e militaresca tra sisma del 1915 e Grande Guerra, poi, il reducismo della Polisportiva Folgore divenendo incubatore agonistico dei quadri dirigenti del Ventennio. Il fascismo della borghesia garante di status quo, vezzeggiava il motorismo futurista della media borghesia dinamica dei Capranica, Falli, Fiamma, Ognibene, ma, nel comprendere l’atletismo italico di Baglioni ed alpinismo giovanilistico di Corradino Bafile, inglobava l’agonismo nei GUF., in sgargiante tenuta rossa ed eversivi anche in chiave femminile, beneficianti dello stadio"XXVIII ottobre" al periferico Torrione nel 1928 dai tecnici e ditte locali dei Gioia, Lisio, Federici, Ceci su disegno dell’architetto Vietti Violi ed inaugurato da un padrino e fantino di eccezione quale Achille Starace ripreso dall’Istituto Luce. Tale impiantistica in chiave antirecessiva, fu parte della Grande Aquila sia nel suo sviluppo urbanistico che turistico in rapporto al Gran Sasso meta degli sports invernali. L’onorevole e podestà Serena, promosse la polisportiva interclassista dell’AS. Aquila 1931 che nel calcio adottava il rossoblù in omaggio alla matrice felsinea del medico sociale Rusconi tralasciando il neroverde del postsisma 1703 desiderato dai dirigenti fratelli Agamben, mentre, il capitano di fanteria Cercato arruola atleti svolgenti il militare in città per non appesantire il bilancio societario. Dopo dispute campanilistiche contro clubs abruzzesi, nel riassetto regionale del 1927, l’ingaggio di titolati tecnici e giocatori, tipo il magiaro Lajos, il triestino Bon, poi, l’ex genoano Barbieri, porta alla serie B nel 1934, pregiudicata nonostante il delfino di Serena, Centi Colella, ingaggiasse Frossi e i riflessi di sfide prestigiose alla Juventus ed Inter, allora, dal drammatico incidente ferroviario occorso alla squadra a Contigliano nella stagione 1936-37. La città, almeno quella burocratica, declinando le ruralità inurbate, visse il fenomeno calcistico ai punti di ascolto EIAR., nei concorsi pronostici e tornei scolastici vinti dai quarti operai a dispetto dell’ideologia imperante. Le gesta rossoblù trainarono altre discipline a base guffista e che conseguono trofei in sports invernali in virtù di Cerulli, Michele Jacobuccijr.,Tomassi, fratelli D’Armi e De Masi, per non aggiungere il valore delle guide alpine Antonelli, Acitelli, Panei, il tutto, funzionale alla promozione turistica del Gran Sasso sfidante omologhi bacini reatini e sangrini; la balda atletica leggera di Passacantando e del lucchese Emilio Mori scopre la leva femminile avente a nume tutelare la Valla prima olimpionica; il tennis dagli elitarismi alla Villa e Gesuiti degli Jacobucci, De Thomasis, Ciarletta, passa alla stagione dei Botta, De Masis, De Blasis, costui, versatile altro in discipline a denotare la presenza di una scuola agonistica locale di tutto rispetto,  ai campi in terra rossa del "XXVIII ottobre”;  per le pratiche natatorie concorrenziali alle pescaresi, fanno da testimonials i gerarchi locali e Costanzo Ciano;  nonostante la loro matrice anglosassone gli sport al coperto, sfruttando sostrati religiosi profilano una pallavolo e pallacanestro d’avanguardia per la regione. L’ideologia tende all’educazione fisica tradizionalmente accolta nella scuola cittadina sicché il professore Di Girolamo sforna i ciclisti Masci, Gioia, Quaianni, Bellini”Picozzo”, mentre, un Bartali trionfa alla tappa aquilana del Giro d’Italia 1935-36, nonché, il pattinaggio a rotelle degli studenti Vittorini, Masciovecchio, Biagini; i docenti Leopardi, Fascetti, Setta addestrano i ginnasiarchi e pugili Ceccarelli, Valdrappa e Vivio; il maestro Lolli istruisce i tiratori e schermidori punto di attrattiva di mondanità al Teatro comunale. C’è la fenomenologia di un rugby incidente socialmente in città a merito di altri forestieri e militari, i laziali Zoffoli e Crociani assistiti dai guffisti Petroni e Giuseppe Mori, fino all’eccentrico avvento di un Fattori che pone il capoluogo abruzzese fra i poli nazionali della nuova disciplina. Aquila degli impianti e risultati pluridisciplinari, alla mostra milanese di settore del 1935, è fra le capitali sportive d’Italia, sicché la imprenditoria edile veniva invitata dalla podestatura a foraggiare l’agonismo locale nell’autarchia. Il capoluogo abruzzese avrebbe vissuto lo sport meno in senso propagandistico grazie alle sottoscrizioni dell’AS. L’Aquila1943, la rivincita sportiva di una città investita dai drammatici eventi bellici e trepidante della Liberazione il 13 giugno 1944.
Nella ricostruzione del dopoguerra, la classe democratica concepì pragmaticamente lo sport, recependo il dato di autonomia del CONI. Si evitò la damnatio memoriae di agonismi del cessato regime, gestendo gli ex guffini Mori e Tomassi nonché Fattori e Carlei la ripartenza delle infrastrutture ed entità agonistiche. Il ceto politico attirò le imprenditorialità nello sport e sottoscrivendo tessere del rugby piuttosto che del calcio, emblematico il patrocinio di Lorenzo Natali alla nuova Coppa Gran Sasso nel 1948 e di Emidio Lopardi sostenitore della privatizzazione dei campi sportivi e del circuito automobilistico di Collemaggio ne motociclistico al Castello cinquecentesco. La stessa lotta per il capoluogo abruzzese si intreccia a L'Aquila sede della FIGC., regionale sebbene il vessillo rossoblù perdesse la C,  allo stadio da rinnovare per le Olimpiadi 1960 a Roma e per cui un Vincenzo Rivera chiama Giulio Andreotti, vengono interiorizzate simbologie del tifo genuinamente catalizzate, in chiave religiosa dallo storico cappellano don Angelo Mariani e padre Casimiro Centi della PGS., e laicamente da Ubaldo Lopardi, biasimato dai colleghi senatori per la lettura di"Il corriere dello sport", senza contare il dibattito calcistico tra firme giornalistiche formatesi nell’anteguerra, quali Cianfarano, Chiodi, Carli, Capezzali, Iovannitti, Manilla, Graziosi, Capaldi, Esposito, De Risio, Lussuoso e rapportata ai grandi maestri della cronaca calcistica nazionale. Agirono alla ripresa agonistica le sfide calcistiche e pugilistiche con formazioni al seguito degli Alleati e dai richiami revanscisti agli spiazzi periferici di Pile, salesiani e scuola“E. De Amicis”; si esibiscono basket e volley per volontà dei benemeriti VV.FF, i pedagoghi sportivi alla Cencioni, Ferraro, Bonanni, il sacerdote oriundo armeno Zazurian. Intanto la Polisportiva L’Aquilarugby di Fattori e Camerini jr,  in neroverde municipale punta al semiprofessionismo arrivando il capitano azzurro Paolo Rosi, preludio alla serie A in grande stile nel 1950-51. Agli istituti religiosi coinvolti dalle strumentalizzazioni ideologiche dei collettori sportivi di impronta partitica nella guerra fredda, fioriscono l’atletica leggera e ginnastica femminile; i successi del pattinaggio ed hockey portano alla costruzione del palazzetto a Viale Ovidio, il polo di una socializzazione dalle trame natatorie e tennistiche. Sul Gran Sasso insidiato dall’aziendalismo delle Rocche, la scuola alpinistica ad uso del nobilato, mantiene il prestigioso trofeo delle Aquile, infine,  il ciclismo rincorre accenti della sua popolarità in virtù dei passaggi cittadini del Giro d’Italia e che filmati dall’Istituto Luce danno la visibilità nazionale alla città sportiva. Oltre steccati ideologico-sportivi, tenta una riunione di calcio e rugby, il Panathlon locale cooptatore di outsiders dell’ambientazione civica mentre in altre discipline emergeva l’ordinarietà politica dei tesseramenti. Emergeva la modulazione di uno sport aquilano negli anni a venire riproponente tradizioni di riferimento senza però rinnovarle nei formati e/o a mantenerle entro aperture internazionali come accade nel Pescarese. Soprattutto, nel capoluogo abruzzese lo sport, si legava alla capacità di concepirlo fra i collanti morali e materiali di una identità e tradizione comunitaria sin dal suo originare.



 



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